E così, con la pubblicazione sul BUR della L.R. n.32 del 29/11/2013, è entrato in vigore il terzo Piano Casa regionale. Che dire?
L’impressione che la Regione abbia voluto ulteriormente annichilire la pianificazione urbanistica dei comuni, per consentire una nuova colata di cemento che rischia di abbattersi, con scarse misure di protezione, vista la deroga ai regolamenti edilizi e ai piani urbanistici di qualsiasi livello, all’interno delle nostre città e sulle nostre campagne. Ecco le principali novità rispetto al testo vigente: la legge si applica anche all’ interno dei piani ambientali dei parchi regionali e sarà possibile ampliare del 20% il volume
(o la superficie per gli usi non residenziali) di tutti gli edifici esistenti alla data del 31/10/2013, vecchi o nuovi che siano, garantendo in ogni caso un minimo di 150 metri cubi per ogni edificio unifamiliare da destinare a prima casa.
Inoltre, se prima la realizzazione dell’ampliamento con corpo staccato dall’edificio esistente doveva essere giustificata dall’impossibilità di farlo in aderenza o di sfruttare un preesistente manufatto, ora tale tipo di ampliamento potrà essere realizzato a discrezione del proprietario, anche su un lotto diverso purché di sua proprietà e ubicato nel raggio di 200 metri.
Se poi, sempre con riferimento al patrimonio edilizio esistente al 31/10/2013, l’ampliamento avverrà attraverso la demolizione e ricostruzione, l’incremento (sempre in deroga alle norme urbanistiche ed edilizie) potrà raggiungere il 70% dell’esistente (rispetto al precedente 40%), con l’obbligo però che la ricostruzione avvenga nella classe energetica “A”, e all’80% se si farà uso delle tecniche della bioedilizia.
Ulteriori novità riguardano gli incrementi volumetrici (o di superficie) assegnati per mettere in sicurezza sismica gli edifici, per la rimozione dei tetti in amianto, per il superamento delle barriere architettoniche e per il trasferimento di edifici ricadenti in zona ad alta pericolosità idraulica in altra area idonea, nonché la riduzione degli oneri di costruzione, che sarà del 100% per la prima casa di famiglie con almeno 3 figli.
L’assessore regionale al territorio Marino Zorzato, nel presentare la legge in consiglio, ha affermato che non si tratta di una legge di programmazione urbanistica ma piuttosto di una sorta di regolamento edilizio regionale, che non va a toccare la superficie agricola utilizzata ma mira al contenimento dell’uso del suolo senza incidere sul carico urbanistico. Ha anche aggiunto che se i comuni non avessero avuto un’azione frenante nell’applicazione del precedente Piano Casa, il volume degli investimenti sarebbe stato di almeno 4,2 miliardi invece dei 2,5-3 realizzati. Con che ha giustificato l’abolizione nella nuova legge di qualsiasi potere dei sindaci di limitare l’applicazione della legge.
Da parte nostra rileviamo che si può essere d’accordo sul fatto che sia utile e opportuno incentivare l’attività edilizia attraverso il recupero del patrimonio edilizio esistente, ma le modalità attraverso cui questo avviene devono essere attentamente calibrate per evitare di ottenere dei risultati controproducenti.
L’aspetto negativo che in primis va contestato è che la nuova legge punta sul recupero edilizio dei singoli fabbricati perdendo però di vista il più importante e generale obiettivo della rigenerazione urbana delle città, cioè la ricostruzione del tessuto urbano che non risponde più ai moderni e civili canoni dell’abitare.
Va poi detto che demolire e ricostruire un fabbricato comporterà di certo la sua riqualificazione edilizia, ma nel momento in cui questo avviene con ampliamenti che possono quasi raddoppiare il volume originario, senza tenere conto delle norme urbanistiche ed edilizie, l’effetto sarà quello aumentare l’impermeabilità dei suoli e di consolidare ed aggravare le esistenti carenze igieniche dovute alle insufficienti distanze dai confini e dai fabbricati.
È ben vero che, nell’ultima stesura della legge, si è deciso di fare salve le norme statali relative alle distanze, ma, a parte il rispetto dei 10 metri tra pareti finestrate, ciò non impedirà di costruire a tre metri da edifici con parete cieca, favorendo l’insorgenza di muffe sui muri e peggiorando le condizioni igieniche del contesto. Per non parlare della possibilità di sopraelevare oltre l’altezza degli edifici confinanti togliendo a questi, per sempre, il diritto al sole.
Di tutto ciò Zorzato non si cura, come del fatto che aver tolto ai sindaci la possibilità di porre limiti alla legge, soprattutto nei centri storici, lascerà indifesi quella edilizia minore tipicamente veneta e quegli angoli caratteristici che, benché non compresi tra i beni tutelati, determinano la bellezza delle nostre città.
Una buona legge avrebbe dovuto lasciare la possibilità ai sindaci di tutelare gli elementi di pregio ed il decoro delle proprie città, così come avrebbe dovuto promuovere, non tanto o non solo il recupero edilizio dei singoli fabbricati, quanto piuttosto il recupero urbanistico di interi brani degradati del tessuto urbano. E pensare che, in uno dei disegni di legge che sono stati assorbiti dalla L.R. 32/13, questo era previsto, ma l’urgenza di aprire cantieri senza alcun ostacolo alla fine ha prevalso sul buon gusto e sull’intelligenza.
Lorenzo Cabrelle – Legambiente Padova
… se però le ricostruzioni fossero in altezza, sarebbe risolta la problematica dell’eccessiva potenziale vicinanza degli edifici.
E’ un cane che si morde la coda: se costruisco troppo vicino genero una situazione di insalubrità, se costruisco in altezza, senza rispettare una congrua distanza dagli edifici adiacenti, tolgo a questi la luce. Le norme dei piani regolatori servono proprio ad evitare tutto questo: dettare, cioè, limiti di distanza e di altezza che garantiscano aria e luce a tutti gli edifici. Quando si deroga dalle norme dei PRG si generano pasticci. La soluzione primaria per stimolare l’edilizia senza penalizzare la vivibilità dei luoghi dovrebbe essere quella di puntare alla rigenerazione urbana, che prevede di demolire e ricostruire interi brani del territorio, all’interno però di un disegno ordinatore, concedendo come incentivo la deroga agli indici di edificabilità. Per i piccoli ampliamenti (i 100/150 mc per unità immobiliare, che molti comuni già consentono) si può essere più generosi, salvando però il decoro dei luoghi che va lasciato ai sindaci.