Promettente, ma che fatica decollare!
Il Goodbike Padova, servizio di bikesharing con poco meno di 200.000 viaggi all’anno, ha un numero di utenti che non cresce, anzi soffre di un visibile calo.
Eppure i pendolari in transito ogni giorno sono 48.000 e gli iscritti all’Università più di 57.000 l’anno (Fonte: Velocittà). Un bacino di utenti potenziali enorme, a cui andrebbe aggiunto il numero crescente dei turisti che visitano la città. Per non parlare dei tantissimi padovani stufi di vedersi rubare in continuazione la loro bicicletta.
Proviamo a capire falle e punti di miglioramento, ricordando che Padova, con un trend crescente di PM10, ha un bisogno disperato di servizi di mobilità sostenibile; febbraio 2017 è risultato il più inquinato degli ultimi sei anni. Martedì 28 abbiamo accumulato già trentotto giorni di sforamento della concentrazione giornaliera (rispetto al limite di trentacinque di giorni “sforabili” in un anno). L’anno scorso tale limite venne superato “solo” il 5 aprile, nel 2015 il 13 marzo, nel 2014 addirittura il 21 ottobre e il 18 ottobre nel 2013: è un sintomo della tendenza al peggioramento dell’inquinamento atmosferico degli ultimi anni.
Recentemente, di fronte alle segnalazioni e critiche, finalmente nel servizio bikesharing è aumentato il numero di riposizionamenti giornalieri e quindi la disponibilità delle bici in diverse postazioni. L’introduzione ulteriore di trenta nuove biciclette e le manutenzioni più frequenti, stanno garantendo una migliore fruibilità. Un enorme passo avanti nella praticità di utilizzo è stato il lancio di un’applicazione che consente di controllare, in tempo reale, la disponibilità di bici e degli stalli. Il servizio risulta soddisfacente soprattutto per gli spostamenti occasionali in ore di calma.
Questo è certamente sintomo di un’attenzione del settore Mobilità, anche se i punti critici rimangono e fanno pensare che ancora troppo poco si investa nella mobilità cittadina sostenibile e alla portata di tutti. A settembre scorso agli abbonati sono stati presentati dei questionari per valutare la loro soddisfazione. Parallelamente si sono svolti due focus groups con utenti e portatori di interesse. L’obiettivo era rivolgere indicazioni stringenti al gestore. Ad oggi non ne conosciamo gli esiti; sicuramente se si fosse trattato di aprire un nuovo park auto o gestirne lo spostamento i tempi sarebbero stati quelli dell’urgenza. Anche il rilancio del bikesharing richiede celerità ed impegno.
Mentre da tre anni è stata smontata la postazione di via Marzolo, quella che registrava più utilizzi; siamo ancora in attesa di un riposizionamento che avrebbe dovuto essere immediato. Sebbene siano gli studenti universitari l’utenza più interessata, complice uno sconto vantaggioso e la possibilità di attivare il servizio attraverso il proprio badge universitario, mancano ancora postazioni presso molte residenze e sedi universitarie tra le quali: il Liviano, il “fiore” di Botta e Agripolis a Legnaro. Tuttavia il bikesharing di Padova non può essere pensato solo per la popolazione studentesca, in quanto conserva un potenziale notevole per avviare alla mobilità ciclabile le molte persone che solitamente utilizzano l’auto.
Il costo annuale dell’abbonamento (25 €) è molto più abbordabile rispetto a quello complessivo di una bicicletta acquistata. Non c’è la necessità di trovare un posto dove custodirla o il timore di subirne il furto. Eppure interi quartieri popolosi (Arcella, Guizza, Chiesanuova, Brusegana, Montà, Mortise) ne sono sprovvisti.
Sono molte le iniziative che si potrebbero proporre per promuoverne l’uso tra i “non pedalanti”: sconti, comunicazione, giornate gratuite, abbonamenti integrati con treno o parcheggi, gite e convenzioni varie. Le trenta biciclette a pedalata assistita, infine, offrono anche ai più pigri la possibilità di usare un comodo mezzo che ha un prezzo d’acquisto non certamente economico. Varrebbe la pena aumentarle? Che dati di utilizzo ci sono? Nel 2014 la Regione aveva finanziato la realizzazione di tre nuove postazioni ma, dopo quasi tre anni, rimangono purtroppo ancora un miraggio lontano. Ventotto erano le stazioni all’inaugurazione del servizio voluto da Ivo Rossi nel 2013, ventisette sono oggi, dopo la gestione Bitonci.
Padova deve ambire a diventare un’autentica smart city “respirabile”; diventa cruciale continuare ad investire nel miglioramento del servizio, grazie ad un chiaro piano di mobilità sostenibile, tale da divenire nel tempo alternativo all’(ab)uso dell’auto.
Legambiente chiede oggi ai candidati sindaco, ed un domani alla futura amministrazione di Padova, di investire sul bikesharing che, senza opportuni finanziamenti, rischia di rimanere realizzato solo a metà.
Annalisa Scarpa e Fabio Castellini – Legambiente Padova
… chi paga il bikesharing? Chi ci guadagna dal bikesharing? (e non ovviamente non mi sto riferendo all’ambiente)
È in parte finanziato dal ministero dell’ambiente e dalla fondazione crv, e in parte da imprese della camera di commercio, che ci guadagnano (o per lo meno rientrano) attraverso le pubblicità alle postazioni. In poche parole chi ci guadagna sono i fruitori del servizio.
a mio avviso il modello introdotto a Padova avrà sempre enormi problemi ad essere autosostenibile economicamente. Esistono schemi di bike sharing più flessibili e meno costosi. le postazioni evidentemente sono un costo oneroso, che combinato con la poca propensione all’investimento da parte dell’amministrazione, produce situazioni come quella ben descritta nell’articolo. Sarebbe interessante introdurre a Padova un bike sharing innovativo invece di insistere sul modello attuale visto come è gestito!
Non conosco gli aspetti economici del BS di Padova. Ho solo risposto ad una domanda che, senza centrare molto con l’articolo, a giudicare dai puntini di sospensione e dal tono sembra più capziosa che realmente interessata
… quindi chi gestisce il servizio non ci guadagna? … “è parzialmente finanziato dal ministero dell’ambiente”: il Comune non finanzia niente e nessuno?