Parlare di cambiamento climatico e descriverne gli effetti a lungo termine, ha smesso da tempo di essere un mero esercizio di stile.
Se fino a poco tempo fa si trattava di un tema lontano, buono per paventare future catastrofi o suggerire trame hollywoodiane e narrazioni fantascientifiche, oggi è una inquietante realtà.
Il fenomeno è ormai sotto gli occhi di tutti: dagli uragani, che si espandono verso latitudini sempre più temperate, allo scioglimento dei ghiacciai montani in quota sul nostro territorio.
Un’altra conseguenza del cambiamento climatico, a cui generalmente viene data meno importanza, è la migrazione delle popolazioni. Quando il clima cambia, in zone precedentemente stabili, gli abitanti sono costretti ad abbandonare i loro territori nativi, per raggiungere zone più vivibili. Sono i cosiddetti migranti climatici, che vanno ad aggiungersi a quelli economici e di guerra.
È proprio su questa specifica categoria che Bruno Arpaia, scrittore e giornalista, costruisce un efficace racconto di climate-fiction, trasportandoci in un futuro inquietante ma assai probabile. Come lo scrittore ci spiega: “ci sono concetti che si possono veicolare molto chiaramente attraverso l’uso del racconto. Molto più di un qualunque saggio scientifico. Sin dall’antichità il mondo si è nutrito di storie”.
Il suo ultimo romanzo – Qualcosa, là fuori (Guanda, 2016) – racconta un mondo prossimo venturo dove colonie di umani, in questo caso italiani, abbandonano la penisola per migrare verso le terre scandinave. Un nord Europa che, divenuto ora più climaticamente accogliente, s’arrocca a difesa strenua del suo privilegio, abbandonando al proprio destino l’area continentale mediterranea, ormai divenuta inabitabile.
Una road story che ricorda il genere post apocalittico in stile The day after tomorrow (2004), con le evocative descrizioni di paesaggi sommersi dalle acque e di tutto ciò che vi appare affiorante al di sopra di esse.
Bruno Arpaia è un ottimo romanziere, e si è avvalso per la descrizione di questi scenari di fonti scientifiche molto autorevoli. Nel testo, nulla è lasciato al caso o alla pura immaginazione. Innanzitutto si è ispirato alle narrazioni tratte dal saggio di Gwynne Dier (“Le guerre del clima”, ed. Tropea, 2008), ma ha fatto anche buon uso dei rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) e dell’European Environment Agency (EEA). Inoltre si è potuto confrontare anche con esperti della NASA e del Oxford Earth Science Department.
Per quanto riguarda il tanto paventato innalzamento delle acque descritto nel romanzo e i suoi preoccupanti effetti, vi invitiamo a consultare il sito internet http://flood.firetree.net/
Nella lettura del libro, molti lettori potranno trovare le medesime suggestioni ricavate dai romanzi di JG. Ballard o di Cormack McCarthy. Un immaginario narrativo ben noto agli appassionati di genere Sci-Fi futuribile che, proprio per questo, rende possibile un’efficace comprensione di concetti scientifici anche impegnativi e di faticosa assimilazione.
Alcuni scienziati del clima affermano che quanto indicato sui rapporti ambientali siano da considerarsi “previsioni in difetto”.
Bruno Arpaia nel descrivere questa sua opera afferma: “Il mio non è il solito libro a carattere distopico, come molti lo definiscono, ma un libro che amo considerare oltremodo realistico. Direi persino ottimistico”.
Flavio Boscatto – redazione ecopolis