Legambiente ritiene che non ci sia nessuna ragione valida per allungare “all’infinito” la durata delle concessioni di estrazioni di petrolio e gas marini entro le 12 miglia. E quindi chiede con decisione di votare sì al referendum del 17 aprile.
Se l’esito referendario fosse positivo, nel breve non ci sarebbe nessuna perdita di posti di lavoro perché si continuerebbe a estrarre per diversi anni, fino alla fine naturale e programmata delle licenze. Ma contemporaneamente si darebbe un forte segnale di impulso per la definitiva ed irreversibile scelta di eliminazione delle fonti fossili e di rilancio delle energie rinnovabili che sono la vera scommessa del futuro anche in termini di creazione di nuovi posti di lavoro.
La perdita di quantità estratte sarebbe minima rispetto al fabbisogno energetico nazionale. Il danno derivato dalle mancate royalties per lo Stato italiano sostanzialmente irrisorio, perché la maggior parte delle piattaforme produce una quantità di petrolio o gas al di sotto del minimo che fa scattare la ridicola aliquota (soprattutto rispetto a paesi come Danimarca, Inghilterra, Norvegia che superano abbondantemente il 50%) del 7% per l’estrazione di petrolio in mare.
In compenso sono rilevanti i danni all’ecosistema marino provocati dai metodi di ricerca utilizzati nel settore delle attività estrattive e non di poco conto i rischi ambientali ed economici per tutto il mare Mediterraneo e la relativa costa. Si chiama airgun la tecnica più usata per la ricerca di gas e petrolio che consiste nel rapido rilascio di aria compressa in forma di bolle che producono un rumore pari a 100.000 volte quello di un motore di un jet. Sono facilmente immaginabili gli effetti sulla fauna marina, in particolare i cetacei, che in certi casi può subire danni gravi e permanenti che portano ala morte. Senza contare i danni arrecati all’attività della pesca che come dimostrato da studi norvegesi può arrivare a subire fino al 50% di diminuzione. Non solo l’attività di ricerca, ma anche quella estrattiva vera e propria comporta serie problematiche ambientali, come per esempio il contributo ai fenomeni di subsidenza, cioè l’abbassamento del suolo con relativi effetti di sprofondamento.
Questi i danni certi, ma poi ci sono i rischi, difficilmente quantificabili ma da tenere in seria considerazione. Forse ci siamo già dimenticati della catastrofe del Golfo del Messico di sei anni fa che causò 11 morti e lo sversamento di 500.000 tonnellate di petrolio. Ma è molto più recente (13 marzo di quest’anno) l’ultimo disastro ambientale legato alle piattaforme petrolifere: quella della Petrofac vicino alle isole Kerkennah, arcipelago tunisino noto per le sue magnifiche spiagge e a soli 120 chilometri a sud di Lampedusa, ha subìto un incidente, rilasciando in mare una quantità di petrolio ancora imprecisata. Stranamente la notizia non ha avuto nei media il rilievo che avrebbe meritato.
E se accadono i disastri ambientali, si riesce poi a rimediare? Mica tanto. E’ lo stesso Piano di pronto intervento per la difesa da inquinamento di idrocarburi, approvato con decreto nel 2010, che mette in allarme: “In ogni caso le varie tecniche di rimozione, pur combinate tra loro e nelle condizioni ideali di luce e di mare, consentono di recuperare al massimo non più del 30% dell’idrocarburo sversato. Tale percentuale tende rapidamente a zero con il peggioramento delle condizioni meteo-marine».
Alla luce di tutto questo, Legambiente è convinta che il vero “petrolio” italiano sia rappresentato dal turismo, dalla pesca sostenibile, dal paesaggio, cultura, innovazioni industriali e energie alternative. Trivellare il mare italiano vuol dire mettere a rischio questo mondo, non soltanto dal punto di vista di patrimonio naturale ma anche economico e sociale.
Energie alternative: ecco la nostra sfida, abbandono delle fonti fossili e implementazione delle rinnovabili. La lunga crisi e la straordinaria spinta di queste ultime hanno cambiato in questi anni il sistema energetico italiano in una dimensione che nessuno avrebbe potuto immaginare!
Infatti mentre negli ultimi 10 anni i consumi energetici calavano del 2,3% e la produzione termoelettrica scendeva del 34,2%, le fonti rinnovabili crescevano arrivando a coprire il 40% del fabbisogno elettrico nazionale. Non solo, ma nel 2014 l’Italia è stato il primo Paese al mondo per incidenza del solare rispetto ai consumi elettrici. In Italia oggi ci sono oltre 850mila impianti da fonti rinnovabili, che danno lavoro ad oltre 60mila persone, tra diretti e indiretti, con una ricaduta economica pari a 6 miliardi di euro. Altro che rinnovo all’infinito delle trivelle! Va ancora più ridotta la dipendenza da petrolio e gas, spingendo le rinnovabili attraverso l’autoproduzione e la produzione e distribuzione locale. Riduciamo l’utilizzo di gas nelle case grazie all’utilizzo di filiere elettriche da rinnovabili e quello di benzina/petrolio attraverso la mobilità elettrica.