Attraversando Piazza dei Signori, non è difficile notare che spesso vi sono alcune persone intente ad osservare il quadrante dell’orologio astrologico recentemente riportato agli antichi splendori dal restauro che ne esalta i simboli dorati emergenti dal cielo azzurro.
A tutti coloro che, nei giorni dell’apertura, riescono a visitare l’antico meccanismo (vedi qui un report del 2013), i volontari di Salvalarte spiegano il suo funzionamento, nonché la storia del progetto voluto da Umbertino da Carrara nel 1344 e ideato da Jacopo Dondi, la cui famiglia ricevette da allora nel cognome – i Dondi dell’Orologio – una traccia della sua opera, che ne perpetua il riconoscimento anche oggi.
La rappresentazione delle immagini dorate del quadrante trae origine dal sistema scientifico tolemaico descritto nell’Almagesto, la cui validità fu riconosciuta da tutti, fino all’avvento delle teorie di Copernico. Non si trattava di mera superstizione: lo stesso Tolomeo polemizzava nel Tetrabiblos contro i ciarlatani che, rivestendo in modo improprio l’Astrologia con pratiche magiche ed occulte, gettavano ombra con predizioni arbitrarie su quella che lui considerava una scienza. Grazie alla divulgazione del nostro Pietro d’Abano queste dottrine fecero breccia nell’insegnamento nello Studio di Padova: allievi come Jacopo Dondi ebbero poi l’intuizione che portò alla costruzione di quella meravigliosa macchina sovrastante l’antica piazza dei Signori.
Attorno a questo monumento si addensano moltissimi interrogativi; qui poniamo l’attenzione su un dettaglio che colpisce sempre la curiosità dei visitatori. Nell’anello in cui sono rappresentati i dodici segni zodiacali, lo Scorpione, a differenza di tutti gli altri, occupa due sezioni: una contiene il corpo dell’aracnide, mentre l’altra ospita le sue chele.
Manca il segno della Bilancia. Ciò ha suscitato numerose leggende. L’ipotesi avvalorata dagli esperti parla dell’intervento di un frate-inventore, tale Bartolomeo Toffoli di Calalzo di Cadore, che si era ispirato all’antica astrologia babilonese-caldea nella quale non esisteva la Bilancia. Infatti, solo più tardi, intorno al 50 a.C., Giulio Cesare introdusse questo segno zodiacale, poiché la “nuova” costellazione individuata era poco brillante e quindi non associabile a una figura zoologica intera.
L’antico orologio, inaugurato il 13 giugno 1437, ci ricorda che il tempo trascorre costante in base alle sue immutabili leggi; cambia, invece, la percezione che abbiamo di esso in base alle esperienze che viviamo, come l’attesa dell’esito di un esame o dell’arrivo di un ritardatario.
Sembra ieri, però sono passati molti anni da quando la domenica mio padre – “temperatore” addetto all’Orologio su incarico del comune di Padova – mi accompagnava durante il suo turno di lavoro all’interno della Torre; si saliva la prima scala a chiocciola e poi, aperta una botola, si entrava dove era custodito l’antico meccanismo. Superati gli ultimi scalini a pioli, si andava ad alzare con manovelle due macigni di oltre un quintale ciascuno per permettere il funzionamento della “macchina del tempo” per altri due giorni. Pochi minuti erano necessari per alzare quei due pesi che trasmettevano l’impulso, per mezzo della forza di gravità o attrazione terrestre, alla lancetta dell’orologio astrologico.
Non mi sembra una coincidenza che proprio l’attrazione sia la condizione che ci è innata, la legge che regola relazioni tra il macrocosmo dell’universo e quel microcosmo che in un certo senso è ciascuno di noi. Forse per questo motivo i tanti ospiti della piazza, magari seduti per uno spritz, sono affascinati dalla Torre che contiene la testimonianza di quell’antica scienza che suscita anche oggi appassionanti dubbi sulla natura che ci governa.
Angelo Galato, volontario Salvalarte