Una riflessione su come chi governa la Regione Veneto ha spasmodicamente cercato – e cerca – l’autonomia
La maggioranza che governa la Regione Veneto ha vissuto varie stagioni politiche alla ricerca di godere di un’autonomia davvero speciale. La ragione è che la competizione ad armi impari con la Regione Friuli Venezia Giulia e le due Province autonome di Bolzano e Trento, a statuto speciale, è iniqua. Questa considerazione sommata allo sempreverde slogan, rozzo ma efficace, “paroni a casa nostra” ha fatto presa facile su una popolazione per tanta parte portata a una certa superficialità e faciloneria della politica economica. Si è quindi vagheggiato per decenni sull’indipendenza della Padania o del Veneto, senza approfondire su quale forma statuale si desiderava possedere. L’ultimo tentativo in made Lega Nord è terminato nel 2015 con la presa d’atto che non c’erano nemmeno le risorse per organizzare un referendum consuntivo sull’indipendenza e con una richiesta alla Corte Costituzionale che ha ammesso un solo possibile quesito dei 5 proposti, ai cittadini su “maggiori forme di autonomia”. Quesito ammesso a condizioni che le Regioni interessate se lo pagassero e tenuto nel 2017. Buttati letteralmente 14 milioni di euro in Veneto per una domanda perfettamente inutile – e più del doppio in Lombardia – per farsi approvare dai cittadini con la sola finalità politica di accrescere il peso specifico della domanda di autonomia dallo Stato.
Va subito detto, per sgombrare il campo da equivoci, che i veneti al pari dei lombardi, non hanno votato su competenze, gradualismo, spesa regionale. Queste decisioni sono state assunte dalla Giunta Regionale con una richiesta di 23 materie (tutte quelle previste dal Titolo V° riformato nel 2001 con referendum costituzionale) e di trattenere nel territorio una parte di risorse fiscali per pagare con risorse pubbliche i servizi della Regione. Il balletto della trattativa iniziato dalle 3 Regioni del Nord: Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, è terminato nel febbraio 2018, pochi giorni prima delle elezioni politiche, con la firma di un accordo preliminare per un’intesa di applicazione dell’art.116 della Costituzione. Successivamente, con il cambio di Governo sono cambiate pure le priorità e la vicenda autonomia è tornata ad essere questione carsica relegata solo alle Regioni interessate. La questione riprende vigore con il governo uscito dalle urne nel 2022, con il patto tra le forze di centro destra su premierato e autonomia differenziata. Il neo ministro Calderoli avanza una proposta formale, poi diventata legge, che indica alcune soluzioni mentre per altre usa il sistema della vaghezza e del rinvio a tempi migliori.
La CGIL ha sempre guardato con molto sospetto e contrarietà a soluzioni confuse e pasticciate che intaccano i principi fondamentali della Costituzione Italiana. La nostra bella Costituzione soffre non di vecchiaia, ma della poca volontà e capacità di applicarla da parte di politici dalla memoria cortissima e protesi all’interesse personale o di gruppo. Al punto in cui siamo serve agire per porre uno stop fermo e deciso ad avventure che aumentano le disuguaglianze sociali e tra i cittadini, anche dentro la stessa entità regionale. Bocciare la legge Calderoli è decisivo per sgombrare il campo dal rischio delle “piccole patrie” litigiose e incapaci di pesare nello scenario globale. L’ipotesi di sperimentare maggiori responsabilità di gestione della cosa pubblica deve passare necessariamente da alcune condizioni e premesse e non da assunti e postulati privi di dimostrazioni pratiche e garanzie per i cittadini amministrati.
Il Veneto che chiede tutte le deleghe possibili dovrebbe fare i conti con quanto ha realizzato in campi dove l’autonomia la possedeva già. Senza scendere troppo nel particolare è indubbio che nel settore infrastrutture e trasporti abbiamo fulgidi esempi di quanto sia largo lo iato tra desideri e risultati. Sulle infrastrutture la vicenda del debito della Pedemontana Veneta da ripianare con il bilancio della Regione è sotto gli occhi di tutti; il trasporto pubblico locale si salva unicamente per le risorse del fondo nazionale trasporti visto che il contributo della Regione Veneto è del tutto marginale; le ex strade nazionali (600 chilometri) sono state nei fatti restituite allo Stato (ANAS Spa) perché il federalismo stradale non ha risorse nemmeno per le manutenzioni; la programmazione del Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale (SFMR) e del sistema fluvio marittimo dell’asta del Po sono altri esempi della pochezza realizzativa regionale. Gli esempi potrebbero continuare a lungo dalle liste d’attesa in sanità nodo che fa venire meno cure e diritti universali ed uniformi oppure la condizione di servizi sociali sempre meno adeguati dall’istruzione, alla casa, all’assistenza alle persone fragili.
In definitiva esistono molte valide ragioni per percorrere altre soluzioni costituzionali a favore dei cittadini:
- Definire i Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) sapendo che solo la riduzione delle disuguaglianze tra nord e sud, città e campagna, generi e generazioni favorire risposte degne alle tante criticità sociali italiane. Farlo e trovare le risorse per colmare i divari nei LEP è la condizione per dare diritti e opportunità a tutti i cittadini italiani.
- Non consentire la crescita e proliferazione di piccole patrie per le seguenti ragioni:
- Alimenta i costi della struttura statuale, crea doppioni, cresce la burocrazia sia al nord sia al sud.
- Fa crescere la spesa per il Fondo perequativo e le compensazioni territoriali.
- Apre voragini enormi per dumping regolativo e retributivo tra le Regioni ai fini di attirare capitali e investimenti.
- La competizione tra Regioni sarebbe attivata non con finalità collaborative e di integrazione positiva ma unicamente per offrire al capitale costi ridotti.
- Fa saltare contratti e regolazione nazionale su competenze uniche e indissolubili per un paese (istruzione, sociale, infrastrutture).
A chi giova un paese più povero di diritti essenziali e uniformi, questa è la domanda di classe cui nessuno può svicolare. Siamo contrari a diritti minimi e siamo per preservare la ricerca prioritaria di dare livelli essenziali di prestazioni secondo il bisogno. Per questo riteniamo che l’autonomia differenziata non debba toccare né il fisco né l’offerta statuale dei diritti. Togliere di mezzo la legge Calderoli è indispensabile per applicare la Costituzione.
Ilario Simonaggio, CGIL Veneto