Una cultura incrostata di misoginia è la bestia che nutre la violenza sulle donne e dà man forte al patriarcato imperante
“Le done, i cani e ‘l bacalà, perché i se boni i ghe vol ben pestà: donne, cani e baccalà, più li batti più diventano buoni.”
Si rilegga pure questo bel proverbio veneto ancora una volta, con la traduzione, per essere sicuri di avere capito bene. E per fugare ogni dubbio di interpretazione, si vada a pescare a piene mani, da varie raccolte di detti vernacolari, altre perle di saggezza:
– Lagreme de dona, fontana de malissia.
– La lengua de le done la xe come la forbese, o la tagia o la ponze.
– La dona de bon uso tende alla roca e al fuso.
– Do done e un’oca fan mercà.
– La dona deve aver quatro “M”: matrona in strada, modesta in ciesa, massera in casa, e matrona in leto.
– Le done xe sante in ciesa, anzoli in strada, diavoli in casa, çivete a la finestra e gaze a la porta
– Che la piasa, che la tasa, che la staga in casa
Sembrano pure divertenti.
Eppure, ci si arrabbia e commuove, davanti al grande schermo, con la Cortellesi schiaffeggiata dal marito senza motivo, appena alzata dal letto; vessata e considerata “neanche capace di far la serva” quando inciampa e rompe un piatto; tacciata dal suocero, che la comanda da un altro letto, di non stare al suo posto e di voler addirittura esprimere una opinione propria. Nel film più visto di quest’anno, si dipinge un’Italia anni ’40, ritratto di una società patriarcale e misogina che, purtroppo si continua a rivivere, oggi, ovunque ci sia una donna preda dei deliri di onnipotenza e controllo di mariti e fidanzati, o oggetto di spregio e violenza da parte di ragazzetti annoiati e social-dipendenti .
Ma di cosa ci si stupisce, se si è cresciuti con il calendario dei proverbi veneti appeso al muro della cucina, quello che oltre alle pozioni per la bronchite, e alla ricetta con la “sioa”, proponeva le frasi di “buon senso” dei nostri “veci”, semi di gramigna nel terreno del conscio e subconscio collettivo:
– La dona e la vaca, al pezo le se taca.
– el bisso ga el velen solo se el se inrabia, ma la dona lo g’ha tuta la so vita.
– co le femene se fissa, le xe peso de na bissa.
– La dona savia no ga né occi, né reccie.
– La dona xe volubile per natura.
– Le done se odia tra de ele.
– La dona va sogèta a quatro malatie a l’anno, e ognuna dura tre mesi.
– La dona, per picola che la sia, la vince el diavolo in furbaria.
– La dona xe come la balanza, che la pende da quela parte che più la riceve.
– la dona xe come la castagna… bela de fora e dentro la magagna.
Come si può credere di prendere coscienza e cambiare, annaffiati e concimati da tanto buon senso? Vecchi modi di dire, si dirà, ma né frasi ingenue né barzellette su cui fare una risata, neanche a denti stretti: sono lo specchio di un modo di pensare a cui ci si è abituati e conformati generazione dopo generazione, tanto da diventare scontato e normale. E si diventa come la rana, immersa nella pentola d’acqua, che non si accorge dell’aumentare della temperatura fino a che non è troppo tardi per saltare fuori.
– La dona ga più caprici che rici.
– La dona ga più rici che cervelo.
– Se na femena fusse de oro, no la valaria un scheo.
Angela Bigi, Redazione Ecopolis
In Italia dal 1° gennaio a oggi, 23 novembre, sono 105 le donne uccise per mano di un uomo. Con l’omicidio 104, quello di Giulia Cecchettin, la rabbia è esplosa e a Padova in 15mila hanno urlato basta.