Dilaga la distruzione dei prodotti elettronici invenduti. L’Unione Europea non si muove per frenare questa pratica di mercato
Dalla fabbrica alla discarica, questo è il viaggio che fanno molti prodotti tecnologici in Europa. Un’enorme quantità di dispositivi e oggetti in ottime condizioni, o con solo minuscoli difetti estetici, diventano spazzatura prima ancora di arrivare in un negozio a causa della sovrapproduzione, della rapidissima obsolescenza e delle restituzioni. Tutti questi sono prodotti perfettamente funzionanti che vengono gettati via piuttosto che rivenduti, riciclati o dati in donazione.
I dati più recenti parlano di 4,9 tonnellate di spazzatura di questo tipo, corrispondente a ben 3,7 miliardi di euro. Sono numeri preoccupanti, che la dicono lunga sull’attenzione allo spreco e all’impatto sull’ambiente che hanno le industrie e le catene di distribuzione, specialmente considerato che molti di questi prodotti tecnologici contengono materiali preziosi e costosi.
Questa pratica è da imputare al nostro sistema economico e industriale iper competitivo, che punta alla rapidità nel soddisfare le richieste dei consumatori tramite l’acquisto e l’accumulo di immense quantità di prodotti. In grossa parte non verranno acquistati, e verranno invece scartati sebbene non ci sia niente che non vada in essi, e tutto ciò per aumentare il margine di profitto.
Distruggere ciò che non è venduto è meno costoso che farlo ispezionare e rimettere in vendita, e anche più veloce. I venditori online in particolare premono molto per tagliare questo tipo di costi. Quasi un terzo dei prodotti vengono rimandati indietro e distrutti.
Un nome che compare molto frequentemente in questo ambito è quello della piattaforma statunitense Amazon, che ha un ampio campo di operatività anche in Europa.
Nel 2020 in Italia la compagnia ha aumentato di ben quattro volte il costo del mantenimento in magazzino dei prodotti, offrendo in cambio due servizi per liberarsi di ciò che non è venduto. I due servizi, però, hanno prezzi ben diversi. La restituzione è stata fissata a 0,25 euro al pezzo, mentre la distruzione a 0,1 euro, cosa che spinge i magazzini a scegliere l’opzione più economica. Una clausola di confidenzialità, inoltre, rende difficile avere accesso alle informazioni sull’impatto di queste politiche aziendali.
Anche la Spagna non mostra una situazione migliore dopo la scoperta di come Amazon ha ottenuto un diritto per contratto a distruggere la merce senza consenso o diritto alla compensazione dei venditori in caso di disaccordi. A questo bisogna aggiungere che le piattaforme di vendita online non sono soggette alle stesse limitazioni dei venditori tradizionali.
Questo problema riguarda l’intera Unione Europea, e perciò le misure per combatterlo andrebbero prese tenendo in considerazione l’intera UE. Se anche alcuni paesi hanno cercato di fermare questa pratica, non possono essere ottenuti risultati degni di nota se sufficiente che la distruzione dei prodotti venga fatta spostare in un altro paese d’Europa. Le leggi che proibiscono questo sistema devono essere redatte così da includere tutta la UE, sostenendo lo sviluppo di una diversa forma di mercato e un’economia circolare.
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Sofia Brendolin, redazione Ecopolis