Nel 1977, Diego Valeri tributò un ultimo omaggio alla sua terra natale, con un’opera di raffinata pittura in prosa: «Invito al Veneto» (Boni editore, Bologna), infatti, offre 15 affreschi del «vasto territorio compreso tra la riva orientale del Garda, le Alpi e il Quarnaro», dipinto con grande precisione e delicatezza.
La varietà del panorama naturale si riflette nello stile di scrittura, che muta in base ai tratti peculiari di ciascuna località. Valeri alterna slanci lirici, rigore filologico, reminiscenze autobiografiche e riflessioni esistenziali: osserva incantato Venezia, dove «tutto finisce a essere pittura», ricostruisce la storia di Padova, rievoca la sua prima visita a Treviso e sottolinea la singolarità di Vicenza, «città d’autore» plasmata da Palladio. «Invito al Veneto», per contrasto, fa pensare alla vicenda del revamping, con cui Italcementi vorrebbe ampliare le proprie strutture di Monselice: proprio nel cuore di quei colli Euganei che sono «Alpi alla maniera dei fanciulli», e «portano una nota di delicata fantasia e il riposo di una forma conclusa tra il fuggire vertiginoso degli orizzonti rettilinei». Oppure alla riviera del Brenta, dove si continua a parlare di camionabile, rimandando il completamento dell’idrovia: «Il fiume è come la vita, ed è bello conoscersi e volersi bene – scrive Valeri – Anche la strada è vita, certamente; ma come corre, e con che fretta, con che affanno, sulle ruote fragorose dei camions o su quelle silenziose delle automobili». Alessandro Macciò |