Siamo in zona Stanga, precisamente tra via Antonio Gramsci e via Carlo Goldoni. Ad un osservatore esterno, il luogo comunica una sensazione generale di abbandono, con le sue fabbriche chiuse, i cantieri e i capannoni in disuso, gli scheletri degli edifici e le strade interrotte o mai ultimate.
Il degrado e la sporcizia regnano sovrani all’interno come all’esterno delle strutture. Uno scenario umiliante e tetro per gli abitanti del quartiere.
Cumuli di immondizia e rifiuti di ogni genere si stagliano in quella che negli anni è diventata una gigantesca cloaca a cielo aperto, dove sbandati e senza tetto di ogni età circolano indisturbati. Un vero e proprio spreco di spazio e risorse, ormai ridotte a terre di nessuno all’interno della città stessa.
Recuperare l’area sembrerebbe l’unica soluzione. Sfortunatamente, anche quando entrano in gioco programmi di riqualificazione, si tratta spesso di progetti a senso unico: il degrado lascia il posto quasi sempre a nuovi edifici residenziali, che portano, a loro volta, nuove strade e centri commerciali.
Questi interventi, pensati per dare nuova vita ai quartieri abbandonati, sono ottenuti purtroppo al prezzo sia di un ulteriore consumo di suolo che con la cancellazione della storia recente della città.
Le Fabbriche dismesse rimangono, infatti, una fiera testimonianza del mutamento dei tempi. Ma invece di essere conservate come esempi di quella che viene oggi definita archeologia industriale, sono viste, con il loro stato di abbandono, solo come una scomoda presenza, quando invece potrebbero diventare una risorsa per il comune e per i cittadini.
È giusto ricordare che questi edifici hanno fatto la storia industriale del quartiere e della città e si inseriscono a pieno titolo nel patrimonio storico e culturale di Padova.
Per questo oggi, affinché questa ricchezza non vada perduta, è più che mai necessario che lo Stato, attraverso gli enti locali, i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni, trovi le giuste soluzioni attraverso nuovi strumenti urbanistici e legislativi.
Questo per il bene dei cittadini e per la tutela del territorio nel suo complesso, in un sano progetto di riutilizzo e riorganizzazione dello spazio urbano in disuso. Ogni fabbrica chiusa o dismessa potrebbe venire riqualificata e destinata ad un ciclo ecologico virtuoso, ad esempio con il recupero di materiale derivato da scarti civili ed industriali.
Questi siti abbandonati verrebbero così trasformati in industrie di lavorazione e produzione locale per la riconversione dei rifiuti, anche attraverso corsi e stage di qualificazione per gli esodati e i disoccupati.
Questo è ovviamente solo uno dei tanti possibili usi dell’area. In un lungo periodo, però, potrebbe aiutare a ridurre lo stress urbano da degrado e indirizzare le future amministrazioni verso un progressivo recupero delle grandi aree urbane con un potenziale valore storico. Tutto questo senza pagare il prezzo della continua impermeabilizzazione dei nostri suoli, già scarsi e impoveriti da anni di politiche non sempre lungimiranti.
Massimo Camporese, Anima Critica