Il Consiglio Comunale di Caorle decide a maggioranza, durante la seduta del 23 dicembre, di eliminare, dal nuovo programma di governo, il punto che prevedeva la possibilità di rivedere il progetto urbanistico del villaggio delle cosiddette terme, ovvero una speculazione di 240 mila metri cubi, che solo per un decimo riguardano il centro termale, ma si sostanzia nell’ennesimo complesso di residenze e negozi a pochi passi dal centro storico della cittadina veneziana.
«Revisione, ove giuridicamente possibile, dell’intervento urbanistico delle cosiddette “Terme” in zona C2/39» recitava il passaggio “scomparso” del programma concordato e condiviso in precedenti riunioni. Malgrado le smentite del sindaco Luciano Striuli di aver ricevuto “pressioni”, i consiglieri comunali Marco Favaro e Alessandro Borin hanno denunciato pubblicamente come dietro questo cambio di rotta vi siano state delle pesantissime minacce, anche di morte, indirizzate al sindaco e ai citati consiglieri che avevano promosso questo punto nel programma di governo.
Minacce evidentemente andate a buon fine, per ora. Un fatto gravissimo che svela come le decisioni di politica urbanistica vengono pesantemente influenzate, quando non pilotate, anche con il ricorso a minacce e a metodi “genuinamente” mafiosi.
Questo pesante episodio richiama la situazione del litorale veneziano oggetto in questi decenni di una dissennata cementificazione che si è intrecciata con l’operatività di organizzazioni criminali. Come ha ricordato il Procuratore capo Delpino alla commissione parlamentare antimafia nel 2012: «i primi fenomeni di infiltrazione mafiosa nell’economia veneta potrebbero risalire già agli anni ’70, quando le spiagge di Jesolo ed Eraclea vedevano molteplici, e non facilmente giustificabili, passaggi di società nella proprietà degli alberghi».
La zona costiera del Veneto orientale è stata teatro di diversi raid malavitosi che hanno colpito i cantieri della zona, come quello accaduto nel febbraio 2013 a San Stino di Livenza [Ve] dove un escavatore di proprietà della Provincia di Venezia, utilizzato per il taglio degli alberi, è stato ritrovato in un canale della zona. Episodi come questi si sono ripetuti negli ultimi due anni e, dalle numerose inchieste effettuate, si pensa che si tratti di segnali intimidatori fatti con l’obiettivo di accaparrarsi gli appalti pubblici mettendo fuori gioco i competitori.
Legambiente esprime la sua solidarietà ai consiglieri comunali che hanno avuto il coraggio di denunciare i fatti accaduti e la volontà di mantenere l’opposizione allo sciagurato progetto del villaggio delle Terme e fa appello alle istituzioni, alle associazioni e alle forze politiche perché si faccia chiarezza su questo gravissimo episodio.
Legambiente Veneto e Osservatorio Ambiente e Legalità – Venezia