La costruzione di una [super] strada potrebbe significare l’avvicinamento tra luoghi. Oggi invece significa solo la loro distruzione. Matteo Melchiorre racconta, quasi giorno per giorno, il cantiere della superstrada Fenadora – Anzù, siamo nel feltrino, attraverso gli occhi di un giovane universitario e della sua scalcagnata banda di amici impegnati in improbabili tentativi di sabotaggio.Le vicende della banda – il sapore è quello delle avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain – s’intrecciano nella descrizione – supportata da documenti, testimonianze, interviste – delle vicissitudini della costruzione dell’opera con il suo corredo di retoriche politiche, appalti accidentati, piccole e grandi angherie.
Due registri utilizzati con perizia: insieme disegnano un avvincente affresco facendoci muovere tra l’uno e l’altro con naturalezza. Risultano così non solo complementari, ma più profondamente complici. Melchiorre, con il suo bagaglio di storico e una penna felice e accurata, ci accompagna tra le trasformazioni del paesaggio interiore di ragazzi che diventano adulti – tra rabbie, frustrazioni e improvvise esaltazioni – che si riflettono nelle trasformazioni violente, e spesso ancor più incomprensibili, del paesaggio esterno, dei luoghi della loro crescita. «Realtà e arte sono intrecciate al punto da non lasciare una zona identificabile di demarcazione» scriveva Truman Capote e Melchiorre sembra averlo preso, felicemente, alla lettera. Matteo Melchiorre, La banda della superstrada Fenadora – Anzù (con Gianni Belloni |
One thought on “La Banda della Superstrada”
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Bellissimo libro, il cui titolo voluto dall’autore sarebbe stato “La Grande H”. Ho l’impressione che molti romanzi italiani di questi anni comincino a trattare temi cari all’ecologismo quali territorio, distruzione del paesaggio, ecc. Il cemento suburbano comincia a diventare un soggetto letterario, come le borgate della Roma neorealista, per dire. Giorgio Falco, Vitaliano Trevisan, lo stesso Melchiorre, i Wu Ming… Chissà, staremo a vedere.