Un modello di espansione che li rende dipendenti da gruppi finanziari e il carico del suo fallimento: ecco cosa spinge gli agricoltori alla protesta
Sono già diversi mesi che in molte delle più grandi città in Europa avvengono rumorose proteste e manifestazioni da parte degli agricoltori. Le critiche e richieste che portano in ogni paese sono differenti, per via delle differenti normative presenti nel luogo dove svolgono la loro attività, ma anche se apparentemente non c’è molto ad accomunarli, esiste un problema di fondo che da origine alle difficoltà di tutti loro, che si tratti di agricoltori francesi e tedeschi che lamentano la tassazione, irlandesi che hanno a che fare con limitazioni sull’allevamento bovino, o polacchi, ungheresi e slovacchi che non riescono a sostenere la concorrenza con la più economica granaglia ucraina.
Sebbene non sia la prima volta che avvengono proteste da parte di agricoltori e allevatori, non era mai capitato prima un fenomeno di questa portata in Unione Europea. Persino molti politici si sono mostrati sorpresi da reazioni di questo genere alle loro manovre in questo campo dell’economia. Questo stupore però non può essere del tutto giustificato, perché osservando i tipi di soluzioni e risposte che sono state tirate fuori per risolvere questo problema, si può vedere chiaramente che consistono in buona parte in “toppe” e piccole misure a breve termine.
Il problema che sta alla radice di queste proteste non può essere risolto con piccole concessioni, perché riguarda il sistema agricolo ed economico più in generale. Il neoliberalismo, basato sul capitalismo e sul mercato libero, cercava una soluzione ai problemi del mercato senza considerare i problemi socio-economici, ed è entrato in una crisi sistemica.
Inizialmente l’industrializzazione dell’agricoltura aveva il proposito di farne aumentare la produttività e la convenienza economica, spingendo ad uno sviluppo di tutto il sistema di produzione. L’aumento dell’efficienza nei costi, però, è arrivato assieme ad una serie di altre problematiche. Allevatori ed agricoltori si ritrovarono a diventare imprenditori che non possono evitare la ricerca di una continua crescita ed espansione. La crescita economica e l’uso sempre più intenso di nuove tecnologie ha portato anche ad una pericolosa dipendenza da grandi corporation e gruppi bancari. Tenersi fuori da questo sistema significherebbe non essere competitivi e rischiare il fallimento della loro attività.
L’industrializzazione dell’agricoltura ha portato, inoltre, ad un aumento dell’uso di macchinari che hanno bisogno di carburanti fossili per funzionare. L’industria agricola è, infatti, una delle principali realtà che creano inquinamento, in buona parte responsabile della perdita della biodiversità e dell’attuale crisi climatica.
La soluzione che i progetti della UE hanno trovato per questa questione consistono in progetti che mirano a rendere più sostenibile la produzione, sviluppando macchinari a bassa o zero emissione. Il sistema continua però a funzionare secondo la stessa logica neo-liberista, tramite l’espansione e lo sviluppo, lasciando che il peso di tutto questo ricada sulle spalle degli agricoltori. Le loro proteste sono quindi una reazione a questo tipo di misure, nonostante vengano raffigurate come segni di mentalità retrograda e populista.
Per quanto sentimenti di quel tipo sono in effetti presenti nelle proteste, resta il fatto che perlopiù la ragione di questi fermenti è il sentimento di insoddisfazione verso un sistema imperfetto che li fa sentire trascurati e spinti verso un processo di espansione ci cui dovranno pagare le spese nel caso fallisse.
Per saperne di più META propone questa pagina.
Sofia Brendolin, Redazione Ecopolis