Nei mesi scorsi è uscito il rapporto I.S.P.R.A. (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) su consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici.
Riteniamo fondamentale parlarne e diffonderne i dati perché questo crea consapevolezza collettiva che a sua volta genera pressione nei confronti delle istituzioni.
L’analisi del documento desta seria preoccupazione. In generale in Europa non va molto bene se si considera che negli ultimi 30/40 anni il consumo di suolo è cresciuto più del doppio rispetto all’aumento della popolazione. Ma in Italia va anche peggio se pensiamo che la percentuale di costruito è del 7% contro la media europea del 4,3%, differenza inspiegabile soprattutto se si considera la diminuzione demografica del nostro paese contro un saldo positivo del continente nel suo complesso.
Lasciamo all’articolo integrale i numeri in dettaglio e le tabelle riepilogative (ad es. sul consumo nelle regioni o in Veneto), in questa sede vogliamo soprattutto mettere in evidenza come il consumo di suolo abbia indistintamente intaccato aree protette, aree a pericolosità di frana, aree a rischio idraulico medio ed elevato (il caso più emblematico è rappresentato dalla regione Liguria) ed aree a rischio sismico.
Italia fra le peggiori nazioni europee e Veneto fra le meno virtuose regioni d’Italia, seconda in percentuale di consumo di suolo solo alla Lombardia ed una delle tre assieme alla Campania con una percentuale a doppia cifra. Anche il valore pro capite (455 mq/abitante) supera nettamente la media nazionale (378 mq/abitante).
Restringendo ancora più il focus alla nostra provincia scopriamo che nel Veneto Padova registra il trend di maggior riduzione dei volumi di ritenzione idrica dei suoli. In caso di precipitazioni prolungate tutta la minor quantità d’acqua assorbita dal terreno è destinata ad aggravare i fenomeni alluvionali come successo nel 2010.
Tornando alla nostra regione, va ricordato che purtroppo non ha accolto i preziosi suggerimenti di Urbanmeta (associazione veneta che raccoglie rappresentanti di categorie economiche, professioni, università, associazioni sindacali e di categorie, costruttori, ambientalisti) approvando una legge che ha il forte demerito di non considerare il consumo di suolo qualora sia situato all’interno delle aree ad urbanizzazione consolidata che, per inciso, rappresenta più del 50% del totale. Di più, in generale va sottolineato come la presenza di leggi regionali diverse fra loro in contenuti, definizioni e metodi di calcolo determini la mancanza di un dato nazionale confrontabile con gli altri paesi.
Il rapporto mette poi in luce come l’80% delle trasformazioni di suolo degli ultimi anni è avvenuta in aree urbanizzate con una logica guidata dalla maggior o minor redditività per le rendite. Viene definito come “fenomeno di riempimento dei vuoti”, un’azione messa in atto per intensificare la densità abitativa ed ottimizzare lo sfruttamento degli spazi. Peccato che ciò comporti un’ulteriore impermeabilizzazione del suolo con il relativo rischio di inondazioni, cambiamenti climatici, minor biodiversità e fertilità dei territori agricoli, distruzione del paesaggio.
Chiudiamo con una domanda: se il rapporto I.S.P.R.A. denuncia che in Italia il costo economico del consumo di suolo (mancata produzione agricola, mancata protezione dall’erosione, sequestro del carbonio) supera il valore di € 766 milioni, chi calcolerà il costo ambientale dovuto da perdita di funzioni produttive dei suoli, mancato assorbimento di Co2, degrado delle funzioni ecosistemiche, alterazioni dell’equilibrio ecologico?
da un contributo di Luisa Calimani, architetto
sintesi a cura di Mauro Dal Santo, redazione ecopolis
scarica qui l’articolo originale completo di Luisa Calimani