Con la COP27 servono nuovi impegni sul clima

La crisi energetica ha reso ancora più urgenti misure concrete per l’abbattimento delle emissioni: le promesse non bastano più.

 

Ha avuto inizio la COP27 a Sharm El Sheik, l’appuntamento annuale (dal 6 al 18 novembre) che riguarda tutti i paesi aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, con lo sfondo di una crisi energetica che non accenna ad arrestarsi e gli effetti della crisi climatica che diventano, mese dopo mese, sempre più preoccupanti. 

Ferdinando Cotugno su Domani definisce questa COP27 come la più indecifrabile e forse la più difficile degli ultimi anni. Si tratta di trovare risposte incisive, non soltanto sulle politiche contro i cambiamenti climatici, ma anche a sfide che si pensavano, fino a pochissimo tempo fa, relegate al passato: la crisi dei prezzi e dell’approvvigionamento di energia che la guerra ha aggravato ma che si è sviluppata in seguito alla ripresa post-pandemica, l’inflazione che colpisce in primo luogo gli ultimi e infine una profonda tensione politica tra i paesi delle Nazioni Unite alimentata dall’aggressione della Russia all’Ucraina. 

Le alternative sono due: portare avanti una politica energetica basata sull’investimento in gas (trivellazioni, sussidi) o considerare il gas esclusivamente come una fonte di transizione, necessaria ma disincentivata, pianificando invece ambiziose politiche volte alla decarbonizzazione e allo sviluppo su larga scala di fonti di energia rinnovabile, accessibili e condivise fra tutti gli stati dell’ONU. Non può essere portata avanti una politica energetica globale che preveda un approccio competitivo e ostile fra stati membri, che non metta al centro le persone ma gli interessi geopolitici dei governi. 

Gli sforzi messi in atto ad oggi sono molto modesti. Secondo stime dell’ONU, con le politiche energetiche attuali si arriverebbe ad un incremento delle temperature di 2,8 gradi a livello globale.  Un numero ben lontano da quelli previsti dagli Accordi di Parigi e sul quale i rappresentanti delle Nazioni Unite hanno messo la firma.
Importante sarà quindi rivedere le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici vale a dire la riduzione delle emissioni di CO2 e strutturare politiche di adattamento che riguardano, in primis, quei paesi che già oggi ne subiscono i devastanti effetti: emblematico il caso del Pakistan, dove le alluvioni hanno già provocato migliaia di morti e danni per oltre 40 miliardi di dollari.

I flussi di denaro promessi a Glasgow l’anno scorso dai paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo, non si sono ancora concretizzati. Lo scorso ottobre, infatti, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione in cui chiede ai paesi più sviluppati di rispettare la promessa dei 100 miliardi di dollari destinati ai paesi in via di sviluppo, erogando questi fondi già nel 2022 e spendendone altri 100, ogni anno, fino al 2025. Massima priorità per le sovvenzioni e un ruolo marginale per i prestiti, considerato l’obiettivo di sostenere il cammino di questi paesi verso l’indipendenza. Sul tavolo dell’Unione Europea ci sono il Green Deal europeo, vincolante per i paesi membri, e i negoziati per il pacchetto Fit for 55, finalizzato agli obiettivi da raggiungere entro il 2030. 

In un comunicato sulla COP 27 a Sharm El Sheik, Legambiente ribadisce la necessità di mantenere vivo l’obiettivo di 1.5 gradi previsto dagli Accordi di Parigi, costruendo un nuovo rapporto di fiducia tra paesi emergenti e industrializzati. Secondo l’associazione ambientalista, l’Unione Europea dovrebbe andare oltre l’obiettivo previsto dal proprio Contributo Determinato a Livello Nazionale, raggiungendo una riduzione delle emissioni del 65% entro il 2030 per ottenere la neutralità climatica entro il 2050.
Tre sono i pilastri di questa COP27 secondo Legambiente: un programma di adeguamento delle politiche attuali all’obiettivo di 1.5 gradi; un sostegno finanziario all’azione climatica dei paesi più poveri e vulnerabili, una revisione della finanza climatica (nuovi strumenti finanziari per la ricostruzione delle comunità più povere. 

Andrea Maiorca, Redazione Ecopolis