CSA? Food policy? Agricoltura periurbana?
Caro lettore, se anche per te queste sono sigle e paroloni dai contorni poco chiari, potrei raccontarti di una serata speciale, in cui oltre a riempire la mente, avresti riempito anche il cuore di volti giovani e appassionati e la pancia di ghiotti spuntini caserecci. Il tutto in una location che – ne sono sicura – ancora non conoscevi, visto che è nata appena lo scorso autunno: si tratta dello spazio NEO, in via Nazareth (quartiere Forcellini). E forse questo è il modo più vero di raccontarti una CSA.
È stato così che noi della redazione abbiamo conosciuto Laura, Francesca, Riccardo e Domenico: trent’anni, la voglia di cambiare la direzione di questo mondo, la forza per provarci. La storia – a leggerla così – è quasi romantica: i nonni di Laura le lasciano in eredità il loro vecchio casolare, immerso in due ettari di terreno nei pressi di Vigonovo, lei lo ristruttura e, assieme a qualche amico, cambia la direzione della sua vita, crea una rete che ruota attorno a questa terra, a questa idea – et voilà – circa due anni fa nasce la Bio-fattoria Coltiviamoci.
Recentemente il gruppo ha deciso di lanciarsi in una nuova avventura, qualcosa che a Padova non c’è, non esiste ancora: dar vita ad una CSA, una comunità che supporta l’agricoltura, ovvero un progetto che segue principi di autorganizzazione non gerarchica e di solidarietà, ed è finalizzato all’autoproduzione di cibo sano, locale e sostenibile. Ha un ruolo importante nel ridisegnare la sovranità alimentare – la cosiddetta food policy – nel nostro territorio, nei nostri quartieri e contesti sociali.
Nate negli anni ’70 in Giappone, le CSA sono ormai diffuse in tutto il mondo, in Italia sono circa una decina, la più grande delle quali è Arvaia, una cooperativa di Bologna che ha all’attivo ormai circa 400 soci. Di fatto si tratta di gente che sente forte la necessità di sapere con certezza cosa mangia e così crea – appunto – una comunità.
All’inizio di ogni anno agricolo viene discusso e approvato un piano di coltivazione: ci si chiede la tipologia e quantità di ortaggi di cui la comunità ha bisogno. Individuato il costo totale per la produzione, la cifra viene divisa per il numero dei partecipanti. Da questo valore parte un’asta segreta in cui ognuno offre quanto può, finché la cifra prestabilita non viene coperta. I partecipanti potranno ritirare il cibo prodotto settimanalmente in punti di distribuzione.
In quest’ottica il contadino non deve più coltivare senza una logica per poi sperare di vendere quello che produce, inoltre si riducono al minimo gli sprechi e i rischi di investimenti economici sbagliati.
Il consumatore – dal canto suo – diventa coproduttore, la filiera si fa cortissima, ed egli può fruire di più servizi: dedicare qualche ora del suo tempo a quella che nella società di oggi viene chiamata ortoterapia (che abituati ai nostri 120mq l’orto ormai è un lusso), può imparare i rudimenti di un sistema agricolo (“impara l’arte e mettila da parte” dicevano i nonni), può toccare con le sue mani la terra dalla quale cresce l’insalata che arriverà nel suo piatto, può ampliare la sua rete di contatti, stringendo spesso rapporti basati sulla fiducia e la solidarietà. Già perché trovarsi in campo a raccogliere per “la festa della fragola” e poi mangiare tutti insieme fa crescere prima di tutto amicizie. Una CSA – insomma – offre momenti conviviali, sociali, culturali, organizzativi, formativi e molto altro!
Dunque, vi siete ormai persi il finocchio al forno e la torta salata alle verdure che Laura ha preparato lo scorso martedì, ma potete ancora passare da lei ad assaggiare quelle che farà, scrivendole a biofattoriacoltiviamoci@gmail.com o almeno provare a dare una sbirciata al suo mondo, qui www.facebook.com/coltiviamoci