A cinquant’anni dalla tragedia del Vajont è stato ripubblicato il libro di Mario Passi, il primo giornalista accorso sulla scena del più grande disastro ambientale italiano. Mario Passi, Vajont senza fine. Baldini & Castaldi, 2013, 174 pagine. € 8,90
Sottovalutazione del rischio ambientale, smisurati interessi economici, sciatteria e connivenza scientifica, disprezzo per la sicurezza delle popolazioni. Tutto questo, e molto altro, è la tragedia della diga del Vajont raccontata nel libro di Mario Passi, inviato speciale de L’Unità all’epoca dei fatti. Scrive Marco Paolini, nella prefazione del volume: “quando tra il 1994 e il 1998 mi sono occupato attivamente di questa storia, raccontandola e raccontandola, per capirla io stesso a poco a poco mi sono ammalato; a un certo punto ho deciso di smettere di raccontarla, perché ogni altra cosa rischiava di apparire meno importante al confronto. Le dimensioni della tragedia, il ruolo svolto dai vari protagonisti della storia, la gigantesca rimozione collettiva della stessa operata dalla società italiana nel suo insieme, con poche eccezioni, rischiavano di lasciare annichilito chi vi si avvicinava.
Oggi vi é una diversa percezione dell’accaduto, la storia é stata raccontata in teatro, alla radio, in televisione, al cinema. E’ stato ripubblicato il libro di Tina Merlin ‘Sulla pelle viva’, lo scrittore Mauro Corona ha fatto conoscere la valle del Vajont e i suoi abitanti e ora Mario Passi ha completamente riscritto il suo libro che allora si chiamava ‘Morire sul Vajont’ ed era il primo libro italiano pubblicato sull’argomento, nel 1968 alla vigilia del processo che vergognosamente venne trasferito all’Aquila per il <<legittimo sospetto» che la sede naturale di Belluno fosse troppo influenzata dalla sofferenza di tutte le popolazioni colpite dal disastro, dalla strage, dall’olocausto. Mario Passi ha riscritto oggi il suo libro di allora facendone una sorta di diario. Il diario di un giornalista che perde la distanza dalle cose che é chiamato a narrare. Il diario di una malattia che si sceglie o che ti sceglie e ti accompagna per tutta la vita.
Leggendolo ho potuto rimisurare la mia febbre, mi son tornate domande legate al presente e non solo alla memoria, una fra tutte: “perché (…) nonostante le sentenze di colpevolezza dei tribunali la comunità scientifica tende sempre ad autoassolversi da ogni responsabilità in questa vicenda? Deontologicamente non sarebbe male ammalarsi un po’: sarebbe una cura omeopatica per prevenire disastri prevedibili a condizione di non rassegnarsi al ruolo di comparse silenziose, di tecnici cosi neutrali da essere inutili”.
A cura della redazione di Ecopolis
Avevo 7 anni e mio padre partì di notte. Ero piccola e spaventata, ma curiosa come una gatta, x cui riuscii ad afferrare ciò che stava accennando a mia madre, pur non sapendo ancora esattamente cos’era successo lassù sul Vajont. La mattina dopo lo raccontai alla maestra. Ogni giorno mia madre lasciava sulla scrivania una copia de L’Unità con gli articoli di mio padre. Leggevo i titoli e guardavo le foto. Confusa e turbata più che mai. Quando finalmente mio padre tornò a casa, raccontò anche a me le sue impressioni che la mattina dopo riferii alla maestra. In quegli anni lontani si usava fare i “pensierini orali”. Ricordo perfettamente come fosse ora quello della mia compagna di banco: “La mia mamma ha un bracciale nuovo”. Poi mi alzai in piedi io. “Ieri sera il mio papà è tornato a casa da Longarone” iniziai. “Mi ha parlato di tutti quei sacchi…. Di tutti quei sacchi grigi in fila sul fango…. Centinaia di sacchi stesi su valanghe di fango… E in ogni sacco un bambino o una bambina……”
Da allora, in seconda elementare, cominciai a leggere i titoli dei giornali e a seguire i telegiornali: l’assassionio di John F. Kennedy, la guerra del Vietnam… “Farai anche tu la giornalista da grande come il tuo papà?” mi chiedeva ogni tanto qualcuno. “No”, rispondevo sicura, “non potrei riuscirci mai”.
Brunella Passi