Una correzione necessaria

La memoria va sostenuta e onorata, ma in suo nome non vanno confusi i ruoli. I nomi dei partigiani e dei sicari non possono stare sulla stessa lapide.

 

Il 16 agosto 1944 il Ten. Col. Bartolomeo Fronteddu dell’esercito repubblichino venne assassinato; per la sua morte, il giorno seguente 17 agosto, il prefetto Menna della Repubblica sociale italiana (R.S.I.) dispose l’uccisione per rappresaglia di Bandini Saturno; Barbiero Primo; Franzolin Antonio; Muolo Pasquale; Pierobon Luigi “Dante”; Presicci Cataldo; Spigolon Ferruccio (fucilati alla caserma Padova Nord, oggi Pierobon); e di Busonera Flavio; Calderoni Ettore; Lampioni Clemente (impiccati in via S. Lucia). Alcuni di loro erano antifascisti e partigiani combattenti, alcuni renitenti alla leva.

Peccato però che ad assassinare il Fronteddu non fossero stati dei partigiani, bensì tre sicari (Alfredo Calore, Giorgio Fai, Agostino Gagliardo) al soldo di un ufficiale nazista che, per gelosia, voleva disfarsi di un rivale. Ma la Resistenza dava fastidio: il prefetto Menna approfittò di questo ammazzamento tra nazisti e fascisti per punire degli antifascisti che, morti, dovevano essere ammonimento per tutti i padovani.
L’imbroglio, allora, durò poco: il 17 settembre del 1944 i tre effettivi assassini vennero fucilati dopo una sentenza di condanna emessa il 14 settembre 1944, presso l’aula della Corte d’Assise, dal Tribunale militare regionale di Guerra, di cui diede notizia – il giorno dopo – “Il Gazzettino” di Padova.
Ma l’imbroglio durò abbastanza per dare a Menna la possibilità di uccidere dieci uomini (1 a 10: proporzione sbalorditiva per una rappresaglia).

Limbroglio, si può dire, dura ancora: i nomi dei tre assassini Calore, Fai e Gagliardo, regolarmente processati e condannati da un Tribunale fascista, compaiono nella lapide che il 5° Regg. artiglieria C. A. Folgore depose «a ricordo», nell’agosto del 1948, assieme a quelli degli altri patrioti che «Per l’Italia caddero», all’interno della Caserma Pierobon, già Nord (sì, proprio quel Pierobon comandante partigiano “Dante” lì fatto fucilare dai fascisti).

Sono passati settantotto anni da allora: nessuno ha fatto sì, nonostante le segnalazioni, che la lapide venisse sostituita o corretta.
Assieme ai famigliari delle vittime del 17 agosto ’44, l’ANPI di Padova ha cercato, negli ultimi anni, di ottenere qualcosa, ma invano.

La faccenda ha del kafkiano, ma la sua assurdità (ricordare incisi nel marmo dei Caduti per l’Italia le vittime antifasciste e dei sicari al soldo dei loro carnefici!) si riconduce, molto più modestamente, alla caotica burocrazia italiana.
Desidero ripercorrere i principali passaggi della richiesta di correzione della lapide e il loro esito.

–          Luglio 2014: mi rivolgo al colonnello Santinelli Baldo Paolo, comandante della Caserma Pierobon, il quale risponde che la caserma si limita ad ospitare la lapide, le competenze su di essa non sono pertanto sue, bensì del Comune di Padova che cura ogni anno le celebrazioni del 17 agosto;

–          21 luglio 2014: protocollo presso il Comune di Padova una lettera all’attenzione del Sindaco Bitonci in cui ANPI Padova e famigliari delle vittime del 17 agosto ’44 chiedono la correzione della lapide, allegando i documenti disponibili a corroborare la richiesta;

–          Agosto 2014: mi incontro, assieme ad alcuni famigliari di Luigi Pierobon, con il delegato del sindaco alla questione, sig. Leandro Comacchio;

–          Il sig. Comacchio ci indirizza alla Commissione Giusti che però, nel gennaio 2015, ancora attende di essere operativa con la nomina di alcuni nuovi membri; intanto però mi invita a rivolgermi al presidente di tale commissione, prof. Giuliano Pisani;

–          Luglio 2015: il prof. Pisani, presidente del Comitato Scientifico Giardino dei Giusti, mi informa di aver sottoposto a tale comitato la nostra richiesta e di averne avuto parere favorevole, peccato però che – aggiunge – tale questione NON sia di loro competenza (eppure lì ci era stato detto di rivolgerci!); il prof. Pisani ribadisce che l’iter deve essere avviato dal Comune;

–          Settembre 2015, il sig. Giuseppe Pierobon, discendente di Luigi, riesce a parlare e sottoporre il caso al sig. Vallotto (assessore al Comune di Cittadella) che si impegna a parlarne nuovamente al sindaco di Padova Bitonci, a patto che i richiedenti riescano a fornire l’atto della sentenza con cui Calore, Fai e Gagliardo vennero condannati (avevo personalmente cercato, invano, tale documento presso l’archivio di Stato di Padova, lì indirizzata anche da una funzionaria dell’archivio del Tribunale Militare di Verona; purtroppo però il fondo non è inventariato e quindi non si ha l’esatta conoscenza del periodo storico che gli atti coprono e se sono consequenziali. In ogni caso, da una prima indagine non sono emerse notizie in merito a quanto di nostro interesse);

–          Fine giugno 2016: la presidente ANPI Padova Floriana Rizzetto riceve da Andrea Recaldin, capo di gabinetto di Bitonci, la risposta che la lapide è immodificabile perché il tempo trascorso l’ha ormai trasformata in monumento storico (un monumento all’errore, a questo punto!);

–          Luglio 2016: anche il signor Giuseppe Pierobon ottiene dal Sindaco Bitonci, tramite Recaldin, la seguente risposta:

«Per quanto di sua competenza, il Comune ha provveduto ad investire, come avrà letto, gli organi competenti i quali hanno risposto come in allegato. Giunti a questo punto, e posto che l’Amministrazione Comunale non ha modalità ne’ elementi per dare seguito a quanto da Lei evidenziato, le suggerirei di recuperare, ove possibile, ulteriore materiale a suffragio della sua tesi interessando della questione direttamente lo Stato Maggiore dell’Esercito».

Non è vero che non ci sono elementi per avviare la correzione, non è vero che è una tesi da suffragare, quella della colpevolezza dei tre sicari: Calore, Fai e Gagliardo sono stati condannati a morte da un tribunale fascista, la sentenza è stata eseguita il 17 settembre 1944 (come riportato anche sulla lapide! e da un articolo del Gazzettino di allora, facilmente consultabile) e ogni 17 agosto, alle commemorazioni ufficiali, vengono nominati come responsabili del delitto dagli oratori delegati dalle associazioni ANPI e CVL e noti al Comune.

L’Esercito, fin dall’inizio, ha dichiarato di non essere competente in materia e di rivolgerci al Comune di Padova; il Comune ha passato la palla a diversi uffici, e le risposte sono: l’errore (riconosciuto dunque come tale) è diventato “storico” e non si può correggere; riprovate a bussare alle porte dello Stato Maggiore dell’Esercito! È il cane che si mangia la coda.
Tutto questo è assurdo e miseramente indicativo della difficoltà con cui il cittadino riesce a interagire con le istituzioni, soffocato da una burocrazia cieca di fronte all’evidenza.

Restano, scalpellati nella pietra, i nomi degli assassini accanto a quelli delle vittime.

Resta una commemorazione che ogni 17 agosto poggia una corona d’alloro sia ai “Caduti per l’Italia” sia a coloro che, indirettamente, li fecero cadere.
Resta il dubbio, assieme alla certezza che commemorare si deve e serve a non dimenticare, che forse la corona andrebbe almeno posata altrove, non certo su una lapide menzognera, ma magari in mezzo al campo dove sette uomini vennero fucilati per una raccapricciante e infondata rappresaglia fascista.

Irene Barichello, ANPI Padova