Un’immagine della passione e della morte di Gesù di Nazareth, solenne e pervasa di profonda spiritualità. È questo che possiamo ammirare all’interno della cappella di San Giacomo, sul lato destro della navata principale della Basilica del Santo.
Gli affreschi che la ornano, contribuiscono a fare della Basilica uno degli otto siti di interesse storico e artistico che qualificano Padova come urbs picta, una città da designare, previo riconoscimento da parte dell’Unesco, “capitale mondiale dell’affresco del Trecento”
(ne abbiamo parlato qui). A Padova, infatti, l’eredità di Giotto si materializza in molteplici, originali e diffuse testimonianze pittoriche, sapienti orditi di linee, di forme e di colore, sempre racchiusi entro raffinate architetture innestate nel tessuto urbano compreso entro le mura cinquecentesche.
La cappella di San Giacomo è un esempio di espressione artistica di carattere ormai pienamente gotico, e perciò per alcuni versi nuova ed inedita per la Padova dell’epoca. Realizzata tra 1372 e 1379, fu progettata e costruita dall’architetto veneziano Andriolo de’ Santi e decorata ad affresco dai pittori Altichiero da Zevio e Iacopo Avanzi. Voluta da Bonifacio Lupi marchese di Soragna, diplomatico e militare al servizio della casata dei Da Carrara allora signori di Padova, sorse come cappella funeraria destinata ad accogliere le sepolture di alcuni componenti della nobile famiglia dei Lupi.
La cappella si presenta come una loggia sorretta da archi acuti, sormontati da un coronamento di timpani e di statue collocate in edicole. Le tre arcate sono riproposte nella parete di fondo. In questo ambiente le architetture reali dialogano con quelle dipinte e la componente figurativa è perfettamente calata entro spartiti architettonici. Gli affreschi, realizzati prevalentemente da Altichiero da Zevio, uniscono una sensibilità tardogotica a un nuovo senso di spazialità (una resa efficace dei volumi, restituiti anche grazie a un sapiente uso del colore). Le pareti laterali sono dedicate agli episodi della vita di San Giacomo Maggiore, mentre la parete di fondo è occupata da una imponente crocifissione.
Il Cristo, appeso su un’alta croce, è solo, isolato rispetto ai gruppi di personaggi che si accalcano in primo piano: tra di essi vi sono i distratti, gli indifferenti, i curiosi, ma anche le dolenti che piangono per questo Gesù straziato fino alla morte. Con una grandissima abilità narrativa Altichiero descrive, uno ad uno, gesti ed atteggiamenti di tutti i presenti: coloro che, arroganti, deridono con gesti di scherno, coloro che gemono, sopraffatti dalla compassione; le donne, immobili, quasi pietrificate dal dolore, davanti alla croce. Sopra questa folla la figura di Cristo, mite e sofferente, attorniato da angeli piangenti di derivazione giottesca, sembra accogliere in sé quasi in un abbraccio tutta l’umanità.
Nei secoli, nell’immagine del Cristo sofferente, moltissimi artisti hanno visto e rappresentato il dolore dell’umanità. Anche oggi la rappresentazione della Passione è occasione per riproporre all’attenzione e alla riflessione le tragedie del nostro tempo. Ne è un esempio la rilettura della “Pietà” proposta da Fabio Viale.
Silvia Rampazzo – redazione Ecopolis
Per un approfondimento critico sugli affreschi di Altichiero da Zevio e di Iacopo Avanzi si veda il saggio di F.D’Arcais, Le decorazioni della cappella di San Giacomo, nel volume Le pitture del Santo di Padova, a cura di C.Semenzato, Vicenza, N.Pozza, 1984, alle pp. 15-42