Pubblichiamo la nostra traduzione di ampi stralci di un editoriale uscito recentemente sul quotidiano britannico The Guardian.
L’intervento è prezioso, perché ci fa riflettere sui costi sociali ed ambientali di una mobilità privata di massa, a partire dall’occupazione di uno spazio comune di cui non ci rendiamo più conto.
E non dimentichiamo che le auto sono anche tra i principali responsabili dell’emissione di CO2, gas serra all’origine della crisi climatica che stiamo vivendo: per avere città vivibili e contrastare i cambiamenti climatici serve ripensare alla radice il modo in cui oggi ci muoviamo.
Qual è il modo migliore per distruggere una città? Far circolare le automobili al suo interno. Cinquant’anni di studi mostrano che il traffico intenso frantuma le comunità, rovina la vita sociale e distrugge le culture locali; il rumore sommerge le conversazioni e obbliga le persone a stare al chiuso mentre lo smog rende le strade inospitali. Le macchine si prendono uno spazio che i bambini avrebbero potuto utilizzare per giocare, gli adulti per incontrarsi e le iniziative locali per svilupparsi.
Vista come un impedimento al traffico, la vita in strada è stata spazzata via dalle città di tutto il mondo per far posto alle auto: banchi del mercato venditori ambulanti partite di cricket e calcio anziani che giocano a domino scacchi o bocce, tutto deve fare largo alle macchine. È così tanto il suolo richiesto per guidare e parcheggiare che ne è rimasto poco per la vita umana: se in città che come Barcellona limitano il traffico, le auto utilizzano circa il 25% dell’area urbana, in città che come Houston non lo fanno si arriva al 60%. Le macchine divorano uno spazio pubblico che sarebbe potuto diventare parchi, piste ciclabili, mercati e parchi giochi. […]
Si calcola che al giorno d’oggi l’inquinamento atmosferico uccida più persone del fumo. La stima in Europa è 800.000 morti premature l’anno: ogni settimana, le macchine nel nostro continente uccidono più persone di quante ne morirono a Chernobyl. L’inquinamento dell’aria danneggia il cuore e i polmoni, causa diversi tipi di tumore e nuoce alla salute dei bambini in gestazione; può ridurre radicalmente l’intelligenza, come risultato dello stress ossidativo e della neuro-degenerazione. […]
I SUV in particolare sono macchine assassine: sono più alte e più pesanti e dunque quando investono un pedone è più probabile che portino alla sua morte rispetto alle macchine normali. La moda dei SUV è una delle due cause principali dell’aumento della morte dei pedoni sulle strade (l’altra è i guidatori che usano il telefono cellulare). […]
Poiché è necessario ridurre radicalmente l’uso delle automobili, tanto per la salute umana quanto per la sopravvivenza del Pianeta (proprio per evidenziare questa necessità il sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha appena annunciato per settembre una giornata libera dalle macchine), i produttori di auto stanno cercando invece di riportarci indietro nel ventesimo secolo.
Nel suo libro Unlocking Sustainable Cities, Paul Chatterton afferma che controllare le macchine sia il primo e più importante passaggio nel creare città ospitali e vive, segnalando i lavori di architetti (ad esempio Jan Gehl) che cercano di riappropriarsi dello spazio oggi prigioniero delle macchine per far fiorire «la vita tra i palazzi».
Né le auto elettriche né le macchine con il pilota automatico risolveranno i nostri problemi, dato che occupano lo stesso spazio dei veicoli a combustibili fossili. Se le macchine elettriche sono già all’origine di una serie di disastri ambientali (a causa della corsa al litio, cobalto e nichel necessario per produrre le loro batterie), le macchine senza guidatore aggraveranno probabilmente gli ingorghi e accelereranno il collasso climatico, a causa della domanda di energia necessaria alle banche dati per controllarli.
Ha dunque molto più senso costruire trasporti di massa ad alimentazione elettrica: chi si arricchisce grazie al carmageddon fa però di tutto per impedirlo. Negli Stati Uniti Americans for Prosperity ha lanciato più di una campagna per contrastare gli autobus innovativi e le ferrovie leggere, riuscendo a fermare sistemi di trasporto pubblico in vari Stati. Si tratta di un gruppo fondato e finanziato dai fratelli Koch, i quali hanno fatto la maggior parte della loro grande fortuna raffinando petrolio e producendo asfalto. […]
In Racconto di due città, Charles Dickens scrive della «feroce usanza patrizia di correre con le carrozze all’impazzata [hard driving]»: quando gli aristocratici guidavano spericolatamente sulle vie di Parigi, tutti gli altri dovevano scansarsi o perire. Dickens lascia intendere come questa pratica barbara sia stata una delle tante atrocità che hanno contribuito a portare alla Rivoluzione francese.
Oggi, nel momento in cui le auto si fanno spazio attraverso le nostre vite, abbiamo bisogno di una nuova rivolta contro l’hard driving: è tempo di chiedere che le strade vengano restituite alle persone.
George Monbiot – The Guardian
(traduzione di Giorgio Palombelli – redazione ecopolis)
… voi siete veramente dei folli ideologizzati: le strade, fin dalla loro invenzione, sono da sempre state dedicate alle forme di trasporto che gli uomini nel tempo hanno progressivamente ideato: da quelle personali a quelle progressivamente più di massa. Per i pedoni nel tempo sono stati delineati i sottoportici e i marciapiedi. Le biciclette invece hanno rappresentato e rappresentano, in città dalle strade strette come in generale quelle italiane, un problema, che voi per primi, specialmente a Padova, cavalcate e sapete cavalcare benissimo utilizzando le ciclabili come grimaldelli per forzare a tutti i costi la mobilità dei mezzi a motore … “la vita in strada”, che dalle nostre parti per quanto riguarda bancarelle e mercati mi sembra perfettamente tutelata e tramandata, cosa dovrebbe essere di preciso? E perché dovremmo organizzare una partita a calcio proprio in strada (cosa che peraltro in alcune strade periferiche avviene da sempre)?
Sono d’accordo, più che cambiare i sistemi di alimentazione della auto bisogna incentivare il trasporto pubblico e soprattutto fare una politica di diminuzione degli spostamenti:
incentivare il lavoro da casa,
incentivare gli spostamenti a piedi e in bicicletta,
valorizzare gli ambienti in modo che la gente apprezzi stare all’aperto intorno a casa per ritrovarsi con altri e praticare sport,
incentivare i prodotti locali.