La Soprintendenza salva Due Carrare. Provvedimento doveroso, ingiustificati gli allarmismi

villa dolfin_mincana_aereaIl doveroso vincolo paesaggistico proposto dalla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per l’area di Due Carrare e Battaglia, investita dal devastante progetto del mega outlet, sicuramente introduce delle limitazioni e complicazioni burocratiche per l’attività edilizia all’interno delle aree vincolate.

Ma non tali da giustificare l’allarmismo, a nostro avviso eccessivo, che si sta facendo crescere (strumentalmente?) tra i proprietari di immobili.

In questa vicenda è bene chiarire che tale procedimento nasce da una visione innovativa del concetto del paesaggio e dai colpevoli ritardi della Regione Veneto.

E’ stata la Convenzione europea del 2000 a riconoscere il paesaggio quale «componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità» ed afferma che il paesaggio «è una questione che interessa tutti i cittadini e deve venir trattato in modo democratico, soprattutto a livello locale e regionale».

L’Italia nel 2004 si è impegnata ad attuare detti principi attraverso l’elaborazione di Piani paesaggistici regionali finalizzati alla salvaguardia del patrimonio storico e culturale e alla riqualificazione del territorio. Una salvaguardia e valorizzazione che non può interessare – come avveniva un tempo – solo singoli beni di rilevanza storica, architettonica e naturalistica, ma deve riguardare contesti più ampi perché, come evidenzia Salvatore Settis «il paesaggio… è un concetto relazionale: non solo si applica a vaste (o vastissime) porzioni di territorio, ma intende l’area a cui si riferisce come un tutto».

Una pianificazione che non si limita all’imposizione di vincoli, ma che detta le regole per una gestione del territorio rispettosa della storia, degli ecosistemi, del bene comune ed identità dei luoghi. Purtroppo ad oggi in Veneto assistiamo ad un ingiustificato grave ritardo con cui la Regione sta procedendo nell’elaborazione dei Piani Paesaggisti (dal 2004, sigh; leggi la denuncia di Gianni Sandon del 2014).

Per cui in presenza del devastante progetto di cementificazione di un territorio di rilevantissimo valore paesaggistico, quale quello caratterizzato dalla presenza del Castello del Catajo e della villa Dolfin, la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio ha giustamente avviato un procedimento di costituzione di vincolo indiretto di tutela (come da art. 45 e 46 del Codice dei beni culturali e del paesaggio).

Un procedimento che in via cautelare comporta la temporanea immodificabilità degli immobili e delle aree per gli aspetti definiti dalla proposta di vincolo, in vista dell’adozione del provvedimento conclusivo da parte della Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale del Veneto (che terrà conto delle osservazioni presentate dai proprietari).

Esaminando la proposta di vincolo si può constatare che la Soprintendenza ha cercato di individuare puntualmente i limiti di intervento per le attività agricole e per gli interventi edilizi, disciplinandoli a seconda delle categorie edilizie e dell’epoca di costruzione dei fabbricati.

Dal provvedimento sono escluse le nuove edificazioni, mentre per gli interventi sull’esistente sono consentiti la manutenzione ordinaria, la straordinaria ed il restauro, purché eseguiti nel rispetto delle caratteristiche tipologiche e stilistiche dei fabbricati. Per la vetustà dei fabbricati, il discrimine è stato posto con riferimento alla metà del secolo scorso, prescrivendo l’obbligo della conservazione e del rispetto plani-volumetrico per gli edifici antecedenti a tale data che conservino caratteristiche dell’architettura o dell’edilizia storica del tempo, nonché il ripristino con materiali e tecniche costruttive tradizionali.

Per i singoli comuni, all’interno degli ambiti catastali, sono stati disciplinati gli interventi di ristrutturazione ed ampliamento, nonché la possibilità di installazione di impianti fotovoltaici, nel rispetto della tipologia delle coperture e delle altezze di falda e di colmo esistenti. Questa in sintesi la disciplina nelle aree vincolate.

Per quanto riguarda i procedimenti autorizzativi, l’art. 7 impone l’obbligo del nulla osta della Soprintendenza. Gli interessati potranno acquisirlo autonomamente o chiedere che sia lo sportello unico per l’edilizia ad occuparsene nel caso in cui l’intervento sia soggetto a Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) o a rilascio del permesso di costruire. Nel caso in cui l’intervento sia di manutenzione ordinaria, o attività libera, l’acquisizione del nulla osta è a carico del soggetto interessato.

Per accelerare i procedimenti autorizzativi è d’altra parte auspicabile che i sindaci dei comuni concordino con il Soprintendente procedure semplificate, ricorrendo per quanto possibile all’istituto della conferenza di servizi o all’ottenimento di disciplinari per poter gestire direttamente gli interventi di manutenzione ordinaria.

Sergio Lironi e Lorenzo Cabrelle, Legambiente Padova