Il sistema alimentare è una rete che coinvolge l’interezza della nostra vita, ma nella complessità della sua rete c’è un nucleo marcio
C’è un problema nel sistema di produzione alimentare che coinvolge diversi aspetti. Il primo è quello delle emissioni di gas e dell’impatto delle produzioni agricole sulla biodiversità e sugli ecosistemi. Questo è il più evidente, ma esiste anche un aspetto che influenza la nostra salute in modo diretto, che inasprisce le disuguaglianze e che calpesta i diritti umani. La società stessa viene colpita dalle conseguenze di questo sistema, in cui diversi ambiti problematici si intersecano tra loro.
Primo tra tutti è l’uso intensivo di pesticidi chimici, molto poco controllato, che influenza negativamente l’equilibrio dell’ecosistema e la sicurezza dei cibi da un punto di vista salutare. Anche le persone che lavorano nelle industrie agricole vedono la loro salute impattare con tali sostanze. Un altro esempio è l’allevamento animale. Non solo la crudeltà sugli animali raggiunge livelli indegni, ma una serie di rischi quali l’esplosione di malattie, l’assuefazione agli antibiotici e l’inquinamento di aria e acqua.
Nonostante il modo in cui tutti questi aspetti si intersecano tra loro, le legislazioni continuano ad avere incoerenze interne e a non operare in un modo che tenga in considerazioni la complessità della situazione, portando a risultati inadeguati o addirittura dannosi.
Tutto questo non è un caso. Il modello di agricoltura europeo, attualmente è quello della PAC, la Politica Agricola Comune, un regolamento che ha più di sessant’anni e oltre ad impegnare un terzo del budget europeo, influenza l’intera concezione della produzione alimentare e delle dinamiche tra gli attori e i processi coinvolti. Inoltre, le riforme che sono state apportate hanno sempre avuto come scopo la massimizzazione della produzione ad ogni costo. Questo costo, oltre ad essere alto, ha finito ironicamente per colpire la produzione stessa.
Per via della PAC l’80% dei sussidi vanno al 20% delle più grandi fattorie europee, lasciando la maggior parte dei produttori vulnerabili a scarsi guadagni e bassissimi prezzi per i loro prodotti, oltre che a montagne di debiti. I fondi vengono dati principalmente ai produttori più grandi e ricchi, che sono anche coloro che hanno un impatto più forte sul pianeta e sulla salute.
Così ci troviamo in un circolo vizioso in cui le tasse dell’Europa sono ingoiate da chi non ne ha bisogno e usate per amplificare il danno, mentre i più vulnerabili sono abbandonati in situazioni di estrema difficoltà.
Nel 2019 è stato rivelato il Green Deal Europeo, un progetto che aveva tra i suoi punti più significativi la Strategia Farm to Fork, un’iniziativa che avrebbe dovuto considerare la situazione disastrosa delle normative per la produzione alimentare e dar vita ad un piano per lo sviluppo di un nuovo approccio al controllo del sistema produttivo. Grossa parte di questi punti cruciali, però, sono stati eliminati dal progetto dopo forti opposizioni dei lobbisti, e nessuno di questi ha visto la luce.
Negli ultimi mesi un’ondata di proteste degli agricoltori ha coinvolto le capitali europee, chiedendo che il sistema rispettasse i loro interessi, il loro stile di vita e la loro salute piuttosto che interessarsi solo al profitto. In tutta risposta, la Commissione Europea e i governi, hanno deciso di ignorare queste proteste e addirittura usarle per smantellare gli standard ambientali dell’agricoltura, suggerendo che questi fossero i desideri degli agricoltori.
L’ultima azione è stata di liberarsi delle ultime vestigia delle normative che proteggono l’ambiente nelle produzioni agricole europee. Le GAEC (Good Agricultural and Environmental Conditions), erano le principali salvaguardie dei requisiti ambientali. Si tratta di elementi fondamentali per un’agricoltura che possa essere sostenibile, ma anche queste sono state smantellate da interessi politici ed economici degli stakeholders. Si tratta di atti dannosi, che ci aspettiamo i membri del Parlamento Europeo respingano.
Il cambiamento è alle porte in ogni caso, ma la questione è in che modo avverrà: sarà un futuro segnato dal declino della qualità ambientale e della nostra salute, o una transizione ben pianificata e che tutela le persone e l’ambiente?
Due cambiamento fondamentali sono necessari, se vogliamo ottenere il secondo scenario. Il primo è quello di prendere in mano la questione della PAC e proteggerne i criteri ambientali riguardo il sostegno dei raccolti, della vita degli agricoltori, della salute della popolazione e della qualità del cibo. Significa riconoscere l’ineguaglianza insita nel sistema che ha scatenato la frustrazione degli agricoltori e che sostiene solo gli attori più potenti. La motivazione stessa della PAC deve essere definita come incentrata su una ridistribuzione più equa, il supporto di un sistema di produzione sostenibile, la riqualificazione delle zone agricole e una retribuzione adeguata a tutti coloro che lavorano nel sistema produttivo.
Il secondo cambiamento riguarda il resto della catena di valore alimentare, non solo la produzione. Si parla di una transizione di tutto il sistema, di uno sviluppo agro ecologico che possa diventare il modello dominante. Questa visione, basata su diversi studi recenti, avrebbe degli effetti positivi anche nel ripristino delle fonti d’acqua e degli ecosistemi acquatici, combattendo la siccità e l’inquinamento degli ultimi anni.
Farebbe aumentare la resistenza dei raccolti e portare beneficio al suolo, andando insomma ad agire in modo da fermare il cambiamento climatico sempre più rapido.
Toccando la questione del reddito dei lavoratori e delle condizioni di lavoro, andrebbe a supportare la visione di un futuro dove l’ambiente e la società umana si sosterranno a vicenda, dove la transizione ha la giustizia come cuore pulsante.
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Sofia Brendolin, Redazione Ecopolis