L’inquinamento da Pfas non si limita alla sola “zona rossa” delle province di Vicenza, Verona e Padova (di cui abbiamo parlato qui): i risultati delle indagini dell’Arpav del 2016 hanno rilevato la presenza delle sostanze perfluoroalchiliche in decine di discariche venete di rifiuti non pericolosi.
È quanto emerge dai dati riportati dalla Nota regionale dello scorso novembre con cui si obbligano i gestori delle discariche a monitorare la situazione nei propri stabilimenti.
I controlli svolti su 342 campioni dall’Arpav (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Veneto) hanno rilevato una vera e propria contaminazione da Pfas: la presenza degli inquinanti per l’acqua sotterranea ha superato i limiti di legge in 7 discariche su 25, mentre per il percolato i superamenti sono stati 10 su 47.
Sono valori che, sebbene molto inferiori a quelli della “zona rossa” (che arriva a 2000 ng/l), mostrano che l‘inquinamento di queste sostanze è più diffuso e grave di quanto si ritenesse.
La Miteni Spa di Trissino, ritenuta dall’Arpav la principale responsabile dell’inquinamento della “zona rossa”, esclude ogni responsabilità, sostenendo che i suoi fanghi non contengano Pfas e in ogni caso vengano bruciati e non spediti nelle discariche. L’azienda ha anche fatto ricorso nei confronti di Regione, provincia di Vicenza e Comune di Trissino, per chiedere di ridurre la caratterizzazione degli inquinanti, mettendo a rischio la bonifica definitiva del sito inquinato.
Le indagini dell’Arpav hanno spinto la Regione Veneto a emanare una serie di direttive per i gestori delle discariche tramite una nota del 15 novembre 2017: nel triennio 2018-20 dovranno segnalare la presenza di Pfas e Pfos nelle discariche e smaltire gli inquinanti in idonei impianti di trattamento.
Si richiede un monitoraggio tanto sul percolato e sulle acque sotterranee, quanto sui fanghi prodotti dal trattamento dei rifiuti e in generale sui rifiuti in entrata (fanghi ottenuti dalla depurazione delle acque, rifiuti provenienti da industrie che fanno uso di questi inquinanti, come quelle conciarie, tessili, fotografiche e chimiche). La presenza di Pfas nelle discariche è infatti dovuta alla presenza di rifiuti industriali, come estintori, vestiti e padelle antiaderenti, prodotti utilizzando Pfas e che, se trattati, rilasciano queste sostanze dannose per la salute.
Di particolare importanza anche il monitoraggio dei fanghi di depurazione, perché secondo Legambiente Veneto quelli inquinati dal rilascio di Pfas nelle acque sono stati verosimilmente utilizzati come ammendante agricolo, esponendo di conseguenza al rischio di contaminazione i terreni agricoli e gli alimenti che mangiamo.
Il monitoraggio comincerà a breve, perché il Tar ha respinto il ricorso con cui sette gestori attivi nella nostra regione chiedevano di sospendere gli obblighi emanati. Serve ora, secondo Legambiente Veneto, che la Regione emani chiare indicazioni sulla modalità del monitoraggio e che si controlli che sia svolto correttamente, anche riguardo alle discariche che non sono in funzione e che sono escluse dal provvedimento.
“La questione delle discariche e dei fanghi contaminati, unita alle ritrosie dell’azienda, mostra come l’inquinamento da Pfas sia molto più grave del previsto”, dichiara il presidente di Legambiente Veneto Luigi Lazzaro. “Non è più possibile che, di fronte a uno dei più gravi disastri ambientali di questa regione, si continui con i rimpalli di competenze e ricorsi”, prosegue, “diviene dunque sempre più urgente la nomina da parte del Governo Gentiloni di un commissario straordinario che abbia tutti i poteri e le competenze necessarie per risolvere l’emergenza: le priorità sono che la Miteni si faccia carico della bonifica ambientale della falda e del territorio della “zona rossa” e che si sostituiscano le fonti di approvvigionamento idrico degli acquedotti pubblici”.
Luca Cirese – redazione ecopolis
Prosegue la raccolta firme #bastapfas, lanciata da Legambiente Veneto e dal Coordinamento acque libere dai Pfas: sono state consegnate già quasi 15mila nell’ottobre scorso agli assessori regionali alla Sanità e all’Ambiente. La petizione serve per chiedere alla Regione Veneto di cambiare le fonti di approvvigionamento dell’acqua e ottenere limiti più stringenti alla presenza delle sostanze inquinanti nell’acqua. È possibile firmare qui.