A un anno dalla morte di Giulia Cecchettin continuano ad esserci risposte inadeguate
Lo scorso 11 novembre il preside del liceo Tito Livio ha vietato agli studenti e alle studentesse un minuto di rumore per ricordare Giulia Cecchettin, che proprio qui aveva frequentato le superiori, esortandoli invece tramite una circolare a seguire “la strada del silenzio”.
Ad un anno dal femminicidio che forse più ha segnato la nostra comunità, questa è stata solo la prima di una lunga serie di reazioni che ci hanno dimostrato come, in questo anno, non sia cambiato nulla.
L’ultima proprio l’altro ieri, con il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che, di fronte al padre di Giulia, in occasione della presentazione della fondazione a lei dedicata, è arrivato a negare l’esistenza del patriarcato e ad affermare che l’aumento dei fenomeni di violenza sia legato all’immigrazione.
Reazioni accomunate dal fatto di arrivare da due uomini, con ruoli istituzionali di rilievo nella vita di tutti i ragazzi e le ragazze. La negazione di una dimensione collettiva nel primo caso, la menzogna sulla pelle delle donne nel secondo, dove si è arrivati addirittura a smentire dati oggettivi.
Infatti secondo il report di D.i.Re, la rete dei centri antiviolenza presente in tutto il territorio nazionale, gli autori delle violenze sono prevalentemente italiani. Soltanto il 26% ha provenienza straniera e, come dice il report “questo dato, oramai consolidato negli anni con scostamenti non significativi (nel 2022 era del 28%), mette in discussione lo stereotipo diffuso che vede il fenomeno della violenza maschile sulle donne ridotto a retaggio di universi culturali situati nell’“altrove” dei paesi extraeuropei.”
Il mondo della scuola, della formazione e dell’istruzione dovrebbe essere avamposto nel contrasto alla violenza di genere attraverso l’educazione e la prevenzione eppure, come ci ricorda Carlotta Vagnoli nelle sue storie Instagram riprese dalla sorella di Giulia, Elena Cecchettin “nella manovra di bilancio non c’è un euro per la questione di genere, e non è attivo nessun progetto di prevenzione e anzi, la prevenzione è la strategia più ostacolata da questo Governo e dai suoi sostenitori, che vedono una grandissima minaccia nell’educazione sentimentale, sessuale e al consenso.”
Dopo la risoluzione Sasso, a conferma anche di questo arrivano le parole dello stesso Ministro che ha annunciato come il tema della violenza verrà trattato all’interno delle ore di educazione civica, per parlare di un generico rispetto della persona e di contrasto a tutte le discriminazioni, senza quindi percorsi mirati.
E se la risposta istituzionale è assente o inadeguata sull’educazione sessuale o affettiva lo è anche per i centri antiviolenza, che continuano ad essere definanziati, o i Consultori ormai svuotati del loro ruolo di prossimità territoriale.
C’è qualche piccola eccezione, in un contesto di totale assenza di politiche pubbliche governative, dove le istituzioni si impegnano ed è il caso ad esempio di Padova dove tra le tante iniziative per questo 25 novembre è in programma l’evento “Come ne parlo in classe? Prevenzione a scuola della violenza maschile contro le donne” al Liceo Modigliani, organizzato dal Tavolo “Prevenire e promuovere” che vede insieme Comune, Provincia, Ulss6 , Università, Centro Veneto Progetti Donna.
Se nel 2024 sono state 104 le donne uccise per mano di uomo (secondo l’Osservatorio di Non una di Meno) e se in un anno ha fatto di più la forza del lucido dolore di un padre che ha perso la figlia per mano di uomo che un Governo, è evidente come il lavoro da fare sia ancora molto e come le risposte possano, oggi, arrivare solo grazie alle mobilitazioni della società civile.
Per questo l’appuntamento da non mancare è quello del 25 novembre, alle 18, in Piazza Portello, per il grande corteo organizzato da Non una di Meno Padova e per chi volesse, questa sera presso la Consultoria di via Salerno, dalle 19 alle 21 un incontro per prepararsi alla mobilitazione preparando insieme striscioni, cartelli materiali.
Marina Molinari