Ha suscitato perplessità l’annuncio dell’imminente restauro della cripta della cappella Scrovegni, pubblicato sul “Mattino di Padova” qualche settimana fa (vedi qui).
L’intervento, programmato per l’estate, prevede il recupero completo del cenobio a partire dal soffitto affrescato, una volta ornata da una miriade di stelle rosse e nere e, in concomitanza, indagini geologiche e archeologiche sul manufatto.
Il restauro, promosso dal comune di Padova e affidato ai tecnici dell’ISRC (Istituto Superiore di Restauro e di Conservazione) sarà realizzato grazie a uno stanziamento di 500 mila euro messo a disposizione dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.
Il professor Bruno Zanardi, docente di restauro presso l’Università di Urbino, osserva che riportare le stelle della cripta al loro splendore originario significa eseguire un restauro estetico in un ambiente ipogeo, peraltro soggetto ad allagamenti, che è sott’acqua da oltre un secolo, se non di più, quale è la cripta della Cappella Scrovegni.
Significa intervenire sull’effetto e non sulla causa (la presenza dell’acqua), demandata quest’ultima a generiche indagini che saranno svolte durante il restauro, in base a quanto riportato sul “Mattino di Padova”.
Pertanto – prosegue il professor Zanardi – l’intervento previsto per agosto, fra tre mesi, non solo non servirà a nulla, perché fra qualche anno, se non fra qualche mese, gli effetti degli allagamenti sugli affreschi del soffitto si ripresenteranno esattamente come prima, ma con ogni certezza porterà a una accelerazione e a un aggravamento del danno del manufatto.
Inevitabile sarà infatti inserire nel “sistema-intonaco affrescato” nuovi materiali di restauro. È verità scientifica che un materiale, quanto più è eterogeneo nella sua composizione, tanto più diventa difficile da conservare, a maggior ragione se si trova in condizioni ambientali critiche e severissime, quali sono quelle nella cripta Scrovegni.
Ciò premesso – afferma il professor Zanardi – in termini tecnico-scientifici razionali e coerenti, ma prima ancora, di buon senso, l’intervento da condurre nella Cappella dovrebbe andare nella direzione esattamente contraria a quella annunciata, cioè:
– per prima cosa, è necessario realizzare un lavoro di ricerca a più competenze (geologi, ingegneri idraulici, storici della città, eccetera) sull’attuale situazione idrogeologica del terreno su cui sorge la Cappella, nonché sul suo divenire storico.
Questa indagine avrà un preziosissimo punto di misura iniziale del problema in uno studio precedente, predisposto dal professor Iliceto (vedi qui).
– Al termine del lavoro di ricerca (che richiederà probabilmente uno o due anni) bisognerà elaborare un progetto che impedisca all’acqua di ritornare all’interno del cenobio.
Deve essere un progetto vastamente condiviso perché basato su indiscutibili scelte tecnico-scientifiche e tecnologiche. Deve essere, inoltre, fondato sulla certezza, da parte di tutti, che questo intervento non avrà nessuna ricaduta sulla tenuta statica delle murature della Cappella.
– Dopodiché, è necessario attendere il tempo necessario perché le mura della cripta si “asciughino“, cosa che richiederà diversi anni, non solo alcuni mesi.
– Infine si potrà far “tornare a splendere le stelle” con un restauro estetico.
Le condizioni della cripta della cappella Scrovegni costituiscono da anni una questione controversa, (ne abbiamo parlato anche qui) che richiede indagini scientifiche e attente valutazioni mirate alla salvaguardia di un immenso tesoro artistico nel tempo.
Da una nota di Bruno Zanardi, Professore associato di Teoria e tecnica del restauro presso l’Università degli studi di Urbino “Carlo Bo”
a cura di Silvia Rampazzo, redazione di ecopolis
Caro professore,
il tuo ultimo articolo su Ecopolis lo trovo molto interessante ( da dilettante come sono). Un notevole contributo
Io da dilettante noto che le trasformazioni subite dall’area dopo la costruzione della cappella Scrovegni sono enormi.
Costruzione del terrapieno e della cortina muraria nonché del Bastione dell’Arena, diventato oggi una vera e propria cisterna d’acqua.
Nel Novecento si è aggiunto un altro muro e si sono trasportati 10.000 metri cubi di terra per gli orribili giardini pubblici (i primi realizzati a Padova).
Le due golene ai lati del Bastione dell’Arena sono state utilizzate come discariche (rifiuti di ogni genere, macerie, ecc.).
Già nel Novecento un docente universitario ha scritto contro il progetto dei giardini pubblici.
La falda freatica è un problema. (vedi prof. Iliceto).
Ma esiste una questione di drenaggio evidentissima. Le feritoie del muro novecentesco sono tutte ingorgate.
Le due cannoniere del Bastione Arena sono sotto terra. Ancora non visibili.
La cavana della famiglia proprietaria del palazzo e della cappella Scrovegni è stata tamponata, murata.
Alle richiesta ragionevoli e ragionate di Girolamo Zampieri è stato opposto il più mafioso rifiuto e diniego. Non parlo del rifiuto di chiudere i due rubinetti delle due fontane che continuano a gettare acqua verso la cripta. L’attuale Sindaco è venuto scavare e in questo modo abbiamo eliminato un po’ di rifiuti “scoasse”.
Ma di scoasse (recte rifiuti, macerie) a Padova ce ne sono ancora tante, tantissime.
Grassie ancora. Elio