Impianti di risalita desolati come pali della luce: dove prima c’era la neve, ora solo erba arida, stagione dopo stagione.
Cosa rimane di un paese di montagna, quando non si sa di che sopravvivere? Quando i giovani se ne vanno per studiare e cercare fortuna?
Renzo Carbonera fa sua la storia del Coro Polifonico di Ruda e la ambienta tra i cimbri: ecco Resina, un film che parla di montagna e di natura, di musica, di resistenza e comunità.
Maria è una giovane violoncellista, andata via tempo fa, ma costretta a tornare al paese perché suo fratello ha avuto un incidente: lui, che aveva avuto la fantasia e l’intraprendenza di immaginare vigneti là dove prima c’era solo la neve, è rimasto travolto da un trattore, lasciando la famiglia piena di debiti.
Chi rimane prova a cambiare le cose, ma non sempre va bene. Non solo il fratello di Maria, ma anche il direttore di un coro locale troppo ingobbito e stanco per cantare come si deve.
È questo coro scalcagnato, diffidente e sfiduciato, che riavvicina Maria alle sue radici e che le dà un motivo per provare a recuperare i legami interrotti. La musica, come la resina, può essere il collante di una comunità che per resistere deve avere il coraggio di ricominciare.
La musica, da vera protagonista, è una colonna sonora in parte originale che rimane impressa (potete ascoltare Resina e No need to talk sul profilo SoundCloud del compositore Luca Ciut) e che rispecchia il carattere del coro interpretato da Andrea Pennacchi, Mirko Artuso, Vasco Mirandola, Diego Pagotto.
Oltre al maestro Thierry Toscan, che ricorderete di aver già visto in un altro splendido film dedicato alla montagna, Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti (2009).
Un coro che nella realtà esiste davvero, non a Luserna ma a Ruda, in provincia di Udine e che Renzo Carbonera aveva già raccontato nel docufilm Là dove senti cantare, fermati (2009).
La montagna e la natura fanno da sfondo e contesto: una natura in trasformazione, a volte lenta come il cambiamento climatico, a volte rapida come gli alberi che vengono abbattuti.
Un’attenzione che non è solo elemento pittoresco nella trama, ma anche impegno concreto di chi ha prodotto il film. Durante la presentazione padovana, il 21 maggio scorso al Multiastra il regista e gli attori hanno rassicurato il pubblico: nessun albero è stato abbattuto apposta per la realizzazione del film.
O, meglio, alcuni abbattimenti programmati sono stati ritardati per poter essere inseriti nelle riprese. Una curiosità: se i tagli sono così spettacolari è perché chi li ha eseguiti è un professionista premiato, che non aveva difficoltà a indirizzare la caduta nell’angolo migliore per la macchina da presa.
Ma non solo, la lavorazione del film, che ha letteralmente invaso la città di Luserna, è stata realizzata secondo i dettami della Trentino Film Commission anche in materia di sostenibilità ambientale, evitando, ad esempio, l’utilizzo di bottiglie in plastica usa e getta e scegliendo solo stoviglie compostabili.
Il contatto con la comunità ospitante è anche un aspetto dell’esperienza che gli attori hanno apprezzato: un film fatto non solo da una troupe ma da un’intera comunità, anche ricorrendo a maestranze e professionalità locali, pure in questo caso secondo le migliori pratiche dettate da una buona Film Commission.
C’è tanto in questo film. C’è la riscoperta di un paese con un’identità linguistica ancora forte, remota e suggestiva; la magia della musica col suo potere unificante, come la resina di quei boschi che tanto spesso vengono mostrati nel corso del film; il potere di una storia vera; c’è l’orgoglio di persone, famiglie e una comunità apparentemente molto chiuse che si misurano con un mondo che cambia e con il “tradimento” di chi parte, non si sa se per tornare.
C’è l’energia di una giovinezza che non ha tutte le risposte in tasca, ma che si mette alla prova anche passando per lutti, delusioni e fatiche. E c’è la forza di ciò che alla fine riesce e che non si sarebbe potuto fare se non insieme.
Annalisa Scarpa, redazione ecopolis