“Attenzione! In questi tempi difficili stiamo perdendo un po’ di umanità !”
Ospitare chi è in difficoltà può non bastare. Bisogna accogliere, che significa riconoscere l’altro nella sua specificità.
Questo avvertimento è stato lanciato all’inizio dell’incontro pubblico “Ho incontrato le tue mani” che si è tenuto lo scorso venerdì 19 febbraio presso il centro civico Fabio Presca nel quartiere San Domenico, a Selvazzano.
Nell’ambito di questa iniziativa promossa da parrocchie e gruppi di Azione Cattolica del territorio (San Domenico, Selvazzano, Tencarola, Caselle, Rubano), in collaborazione con la Città di Selvazzano Dentro, sono intervenuti Lorenzo Biagi, filosofo morale e segretario generale della fondazione Lanza, e John Onama, docente presso l’Istituto Universitario Salesiani di Venezia, moderati da Germano Bertin, caporedattore della rivista “Etica per le professioni”.
Creare un’occasione per una riflessione sul significato dell’accoglienza del diverso in un luogo pubblico, in un incontro aperto ai vari soggetti della società civile, fuori dai confini circoscritti di una parrocchia; ritrovarsi per approfondire un tema, reso più attuale dall’emergenza profughi, e che, al di là dei clamori mediatici,ci interpella tutti: politici e amministratori pubblici, organizzazioni sociali ed ecclesiastiche, associazionilaiche e religiose, operatori del sociale e cittadini. La questione dell’accoglienza ci mette in discussione, interroga atteggiamenti e scelte che si concretizzano nei gesti delle “mani”, evocate dal titolo dell’incontro, così come nel percorso dei “piedi”. Questi erano gli obiettivi cui miravano i promotori dell’iniziativa.
Di fronte a una platea numerosa, attenta e interessata, Biagi e Onama hanno dato vita a una riflessione, molto coinvolgente, articolata su parole-chiave come “ospitalità”, “accoglienza”, “ospite”, “straniero” e “estraneo”.
Che cosa significa affermare che stiamo perdendo un po’ di umanità? Oggi la parola “accoglienza” è molto inflazionata, riempie pagine di giornali, infiamma dibattiti politici e spesso è oggetto di strumentalizzazioni. Eppure il dareospitalità e l’accogliere persone di passaggio sono tratti peculiari della natura umana. Nella storia dell’uomo, in tutte le culture, l’ospite è sacro ed è protteto da leggi e consuetudini non scritte.
Non solo: nessun essere umano può venire al mondo se non viene accolto nel grembo di una madre, se non è atteso da uno o due genitori. Per questo il venir meno alle leggi dell’ospitalità, inscritte nel DNA di ogni uomo, sia pure in particolari situazioni (guerra, tensioni internazioli) ci rende un po’ umani.
Inoltre ospitare non basta. Non basta soddisfare i bisogni materiali di stranieri in difficoltà. Potremmo illuderci di aver assolto al nostro compito e chiuderci di nuovo in noi stessi. Oppure, peggio, a causa di un rapporto sproporzionato di forze, potremmo esigere un contraccambio, innescando così dinamiche di sfruttamento.
Bisogna accogliere. Accoglienza è, prima di tutto, sperimentare compassione e apertura incondizionata verso l’altro; è riconoscere l’altro nella sua specificità. Accogliere non è dare il supefluo a qualcuno, ma condividere con lui quello che abbiamo. La condivisione è garanzia di fecondità relazionale: chi riceve è portato a ricambiare con gioia. La solidarietà consente alle persone di voltare pagina, anche dopo esperienze dolorose come la guerra. Il peggior male della nostra società è l’indifferenza o meglio il senso di estraneità che ci porta a non vedere e a non affrontare le esigenze e le sofferenze degli altri, stranieri o no. L’estraneità può essere dissipata solo da un tessuto sociale coeso e solidale.
Silvia, una partecipante all’incontro