È il più piccolo Stato africano, secondo per numero di arrivi in Italia, la lingua del leone la cui testa è il Senegal, che si abbevera nell’Oceano Atlantico.
È il Paese di Kunta Kinte, il protagonista dello sceneggiato televisivo Radici che, alla fine degli Anni ’70, ha fatto conoscere alla massa la storia della deportazione degli africani in America, come schiavi. Avevo solo poche informazioni in più quando sei anni fa sono arrivata per la prima volta in Gambia.
Non sono entrata dalla “porta dorata” da cui entrano i turisti, ma da quella di sabbia e sudore che è privilegio dei gambiani. Protetta e supportata dal mio compagno, nato in Guinea Bissau e cresciuto in Gambia, avevamo deciso di trasferirci li dall’Italia per tornare alla realtà, recuperare il nostro potere di esseri umani.
Come ogni cambiamento profondo ho avuto bisogno di attingere da tutte le mie risorse la forza per trovare un mio posto in una società completamente diversa, spesso idealizzata nella distanza e troppo colpevolizzata nella vicinanza, quando gli africani arrivano a “casa nostra”.
Ho imparato molte cose in Gambia, di cui la più importante è che la povertà è una malattia e che rischiare la vita per migliorare le proprie condizioni di vita è il minimo che si possa fare.
La speranza è quella che ci ha permesso, un anno dopo il nostro arrivo, di iniziare a maturare l’idea che ci fa parlare oggi come gruppo organizzato in forma di Associazione.
Si è presentata sotto forma di una donna incinta, disperata perché il marito aveva perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa. Nell’accoglierla insieme al suo bambino, nato pochi mesi dopo, abbiamo inizialmente pensato di aprire la nostra casa alle “vedove del mare”. Abbiamo dato un cognome a Roberto, il bimbo nato orfano di padre, e aiutato la madre con un microcredito. Con l’aiuto degli amici italiani abbiamo fatto fronte così a diverse situazioni d’emergenza ma la struttura non poteva reggersi perché i microcrediti non potevano essere restituiti e di questo ce ne rendevamo conto anche noi.
Dopo un paio d’anni abbiamo capito che la strada giusta poteva essere quella della prevenzione, che potevamo cercare di creare posti di lavoro in Gambia per aiutare le persone, concretamente, a restare nel loro paese insieme alle loro famiglie, ponendoci come unici intermediari tra loro e la speranza. Sicuramente l’idea non è così originale, ma il renderla concreta ci differenzia dai più.
Ad oggi ci presentiamo quindi come Associazione PopulusMundi Onlus con sede legale a Padova e sede operativa in Gambia. Operiamo nel settore del trasporto di persone con mezzi che ci vengono donati o che acquistiamo sul posto grazie a contributi di privati. Un furgone può dare lavoro a due o quattro persone organizzate in turni.
C’è necessità di fare di più perché, per il momento, il nostro raggio d’azione è proporzionale alle possibilità economiche dell’Associazione, cioè limitato. Abbiamo un sogno che si chiama speranza.
Daniela Donnici – PopulusMundi Onlus