La testimonianza di Anna e Caterina ci fa capire cosa significa la decisione della Procura di Padova di impugnare 33 atti di nascita di figli di coppie di mamme lesbiche
La notizia dell’impugnazione di 33 atti di nascita di figli di coppie di mamme lesbiche da parte della procura di Padova ha investito come un fulmine a ciel sereno la vita di tante famiglie, tra cui la nostra.
La procura ha infatti deciso di impugnare gli atti di nascita di questi minori, figli di coppie di mamme, nati tra il 2017 ed il 2023, a seguito di una circolare del ministro Piantedosi, che parla tra l’altro di gestazione per altri e non riguarda quindi i nostri specifici casi. Per un eccesso di zelo, se così vogliamo definirlo, alle nostre famiglie è quindi arrivata una notifica del tribunale di Padova con relativa convocazione in udienza per richiesta di cancellazione del doppio cognome del minore, dove presente, e della seconda madre dal suo estratto anagrafico. La procuratrice aggiunge inoltre la precisazione che, data la tenera età, tale provvedimento non avrà ripercussioni sull’identità e sulla vita sociale dei nostri figli, che in molti casi hanno già 5 o 6 anni. Questa frase, oltre a trattare i nostri figli come esseri non senzienti ed incapaci di provare emozioni, manda all’aria secoli di psicologia e pedagogia dell’età evolutiva. Non è comunque necessario essere dei pedagogisti per intuire quanto le preoccupazioni ed i timori che questa situazione ha scatenato in noi si riflettano irrimediabilmente sulla serenità dei nostri figli.
Giornate di angosciante attesa e stress le nostre, ormai da più di due mesi a questa parte, che si sommano all’ordinaria amministrazione di una vita di coppia, della gestione di due bambini piccoli, della casa, del lavoro e del cane.
Questo perché, aldilà di quello che il governo vuole far credere, la nostra famiglia non è poi così straordinaria.
La nostra vita insieme è iniziata nel 2014 quando, davanti ad uno spritz da buone padovane, abbiamo capito di avere tanto in comune e di voler costruire un futuro insieme. Negli anni a seguire abbiamo viaggiato, abbiamo progettato, abbiamo trovato e sistemato una casa che fosse la nostra, ci siamo unite civilmente.
Nel 2017 ha avuto inizio il nostro delicato percorso genitoriale, che ha trovato risposte in una clinica di Barcellona dove, seguendo tutte le leggi e le regole del caso, è stato possibile ricorrere alla procreazione medicalmente assistita eterologa che ha permesso la venuta al mondo del nostro primo figlio nel 2018 e della nostra secondogenita nel 2022.
Questa tecnica è assolutamente identica a quella che si svolge nelle cliniche italiane e che è permessa dalla nostra Legge 40 ed accessibile a tutte le coppie uomo donna. Anche in questo caso, è frequente il ricorso per svariati motivi ad ovulo di donatrice o a seme di donatore anonimo. L’unica differenza è che se nel caso di una coppia eterosessuale l’impiego di gameti esterni può rimanere un segreto, nel nostro è ovviamente evidente. In entrambe le casistiche per accedere alle tecniche la coppia è tenuta tassativamente a firmare un consenso informato, che la obbliga al riconoscimento ed alla cura del bambino che ne deriverà, indipendentemente dal legame biologico con lo stesso. Nessuna legge del nostro ordinamento ad oggi vieta ad una coppia di donne o ad una donna single di ricorrere alla stessa tecnica in un paese estero. Alla nascita di nostro figlio, avvenuta all’ospedale di Padova nel 2018, ci siamo rivolte come una qualsiasi altra coppia presso gli uffici anagrafici della nostra città, dove è stato possibile per entrambe riconoscere il bambino ed attribuirgli il doppio cognome. Lo stesso è stato possibile nel 2022 per nostra figlia. Questo è avvenuto perché il sindaco Giordani e la sua giunta hanno ritenuto doveroso sopperire ad un vuoto normativo e riconoscere l’evidenza del nostro progetto genitoriale condiviso, che ha visto coinvolta fin dall’inizio la mamma partoriente tanto quanto la mamma intenzionale. Al medesimo atto è stata allegata tutta la documentazione rilasciata dalla clinica, che riconosce e rende evidente la nostra compartecipazione alla venuta al mondo dei bambini e la regolarità delle tecniche a cui abbiamo fatto ricorso. Contestualmente alla registrazione, ogni singolo atto registrato a Padova, è stato girato per conoscenza alla Procura, alla quale questa situazione è quindi nota già dal 2017. Niente di rivoluzionario o sovversivo quindi, niente leggi violate o volontà di farsi giustizia da soli. Semplicemente il sindaco ha ritenuto di doverci trattare al pari di una qualsiasi Maria e di un qualsiasi Giovanni che avessero fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita eterologa.
L’alternativa possibile sarebbe stato un falso amministrativo, nel quale la mamma partoriente sarebbe stata obbligata a dichiarare di aver avuto un rapporto consensuale con un uomo che non intendeva riconoscere il minore.
In un secondo momento avremmo quindi potuto procedere all’adozione in casi particolari, che oltre a richiedere tempi molto lunghi (circa 3-4 anni in Veneto che è una delle regioni più veloci) e costi molto elevati (circa 4000 euro) è lesiva e discriminante da un punto di vista umano e genitoriale. Quale genitore vorrebbe essere sottoposto per mesi a colloqui con assistenti sociali e psicologi, aprire la propria casa alle forze dell’ordine per valutarne l’idoneità e far esaminare il proprio bambino da specialisti atti a valutarne la normale crescita e sviluppo psico affettivo?! Alla nostra ministra della famiglia piace sbandierare l’adozione come una rapida soluzione ad ogni problema, come se si trattasse di un processo rapido ed indolore atto a garantire tutela alle nostre famiglie. Ma perché questa stessa procedura non viene richiesta alle coppie eterosessuali che fanno ricorso alle stesse identiche tecniche di procreazione assistita? E perché nel 2016 la parte dell’adozione del figlio del coniuge è stata volutamente stralciata dalla legge sulle unioni civili proprio dagli esponenti dell’attuale governo? Quella che loro ci propongono come soluzione riparatoria è una conquista che le famiglie omogenitoriali hanno ottenuto nei tribunali attraverso importanti e dispendiose cause legali per vedere riconosciuti i figli nati prima della possibilità delle registrazioni anagrafiche, non certo il risultato del lavoro parlamentare. Il parlamento che fino ad oggi si è completamente disinteressato delle nostre famiglie, quasi fossimo invisibili, ci considera oggi un pericolo per l’ordine pubblico e una minaccia per la famiglia tradizionale. Lo Stato ci ha attaccati direttamente, andando a cercare uno per uno gli atti di nascita dei nostri figli e, travestito da ufficiale giudiziario, è entrato violentemente nelle nostre case e nella nostra quotidianità famigliare. Ha sconvolto le nostre giornate, ha generato paura, tensione e profondo stress psicofisico a noi e di conseguenza ai nostri bambini, ci ha obbligato a mettere in pausa le nostre vite nell’attesa di queste udienze, trattandoci come i peggiori tra i criminali.
Ma come possono 33 bambini dai 7 anni ai 3 mesi essere una minaccia per la società? Bambini perfettamente inseriti nel contesto sociale in cui vivono, che frequentano la scuola, fanno sport, giocano nei giardinetti pubblici, frequentano gli studi pediatrici e sono riconosciuti in tutti questi contesti come figli di due madri, nipoti di 4 nonni e di numerosi zii. E’ doveroso infatti non dimenticare che queste impugnazioni non toccano solo il genitore non biologico, ma tutta la sua rete di parentele. Questo comporta che con un solo colpo di penna potrebbero essere cancellati mamma, nonni, zii, cugini ed in molti casi addirittura fratelli e sorelle. Tutti questi 33 bambini sono stati desiderati, amati, accuditi, pensati e cresciuti da queste reti famigliari da prima di venire al mondo ed ogni giorno della loro vita.
I nostri figli sono perfettamente consapevoli della loro storia, della loro identità familiare e ne sono anche tremendamente orgogliosi. Come ogni bambino del resto. I nostri figli sono solo bambini, cittadini di questo Paese, e come tali andrebbero tutelati e protetti sempre, aldilà delle personali ideologie di chi sta seduto al governo.
Come si può ritenere che dopo 6, 4, 3 o 2 anni un bambino non risenta di questa volontà di cancellarne l’identità e metà della rete famigliare? Come si possono strappare diritti acquisiti e consolidati da diversi anni? Come si può chiedere ad una famiglia di procedere con un’adozione che lascerebbe un vuoto di tutela del minore di almeno 3 anni?
Se in questo intervallo di tempo la madre biologica dovesse mancare questi bambini risulterebbero orfani e quindi potenzialmente adottabili da terzi, se fosse la mamma intenzionale a morire verrebbero estromessi dalla linea di successione ereditaria. E se l’amore tra le loro mamme dovesse finire? La madre biologica potrebbe escludere il secondo genitore dalla vita dei figli, cosi come la madre intenzionale sparire non tutelando e non mantenendo i bambini. A queste situazioni tragiche va aggiunta la lista dei problemi più ordinari. Un ricovero del bambino, un vaccino, l’improvvisa necessità del piccolo di uscire da scuola per un mal di pancia, l’iscrizione ad un corso di nuoto, un viaggio all’estero con la sola mamma sociale.
Quello che noi chiediamo è il diritto e soprattutto il dovere di prenderci cura dei nostri figli fin dal primo giorno affinché siano tutelati dal resto del mondo ma anche da noi stessi. Non siamo diventati genitori per placare il nostro egoismo, lo siamo diventati per amore, come tutti coloro che scelgono consapevolmente di mettere al mondo un figlio. Vogliamo che venga riconosciuto il frutto di questo amore fin dal principio perché questi bambini non sarebbero mai esistiti senza una delle loro due mamme. Siamo tutte famiglie, ognuna con le sue caratteristiche, il suo colore, i suoi problemi ed i suoi sogni. Un paese che piange un costante calo demografico e che si voglia definire civile dovrebbe attuare politiche a tutela dei bambini e a supporto delle famiglie. Il nostro governo invece ha scelto di investire tempo, denaro pubblico ed energie nella persecuzione e nella discriminazione di quelle famiglie che non rispondono ai loro canoni e standard, dimenticando che anche quelle sono composte da persone. Cosa è questo se non mera e pura discriminazione? Interpretare a proprio piacimento la legge per attaccare le coppie omosessuali facendo pagare il conto più salato ai loro figli, non è democrazia.
In queste settimane le nostre famiglie si sono dovute necessariamente esporre per rendere noto alla società quanto sta accadendo. Non è facile mettere in vetrina la propria storia e la propria famiglia, ma è doveroso farlo perché solo attraverso il supporto di tutti possiamo vincere questa battaglia. Uno dei pericoli più grandi è infatti quello che questa azione passi sotto silenzio. Le prime udienze sono state fissate per la metà di novembre e corriamo il rischio che questo argomento passi nel dimenticatoio. Le famiglie arcobaleno sono una minoranza nella minoranza e hanno necessariamente bisogno del sostegno della società civile. Siamo stai avvolti in questi mesi da un sostegno e un affetto che non credevamo possibile e questo ci conferma, ancora una volta, che la società è anni luce più avanti del nostro parlamento. Si sono esposti a nostro favore l’ordine degli psicologi, degli assistenti sociali, di medici ed odontoiatri, dei pediatri, i principali sindacati del mondo giuridico, numerosi esponenti di forze politiche ed esperti in pedagogia ed educazione. Si sono schierati accanto a noi gli insegnati dei nostri figli, i genitori dei loro compagni di classe, i loro allenatori, i vicini di casa, amici, spesso anche le parrocchie che alcuni di loro frequentano, molte persone estranee e non coinvolte allibite da tanta violenza. Questo ci dà una forza inimmaginabile. Sono state organizzate raccolte firme che hanno raggiunto risultati inaspettati ed è da poco partito un flashmob che sta coinvolgendo un po’ tutta Italia. Si tratta di esporre sul proprio terrazzo o sulla propria finestra un cartello o un lenzuolo con la scritta “siamo tutte famiglie” e, se si è tecnologici, pubblicarne un fotografia sui principali social media.
Le occasioni per conoscere da vicino le nostre famiglie non mancheranno nei prossimi mesi. Venerdì 21 luglio la nostra associazione sarà ospite della libreria Pel di carota di Padova, dove alle 18:30 si terranno delle letture animate e a seguire ci sarà un aperitivo-talk presso il Padova Pride Village.
Sappiamo bene che essere genitori è molto di più di un atto amministrativo o di un nome e un cognome annotati a margine di un documento. Nessuno di noi smetterà di esserlo, aldilà di quelle che saranno le decisioni del tribunale. Ma la differenza tra avere un pezzo di carta che ti assicuri che lo Stato ti riconosca come tale, con i diritti ed i doveri che ne conseguono, e non averlo è qualcosa di abissale.
Siamo mamme come tutte le altre, sia quelle che il figlio lo hanno portato in grembo sia quelle che lo hanno portato nel cuore. Abbiamo asciugato lacrime, cambiato pannolini, partecipato alle chat di classe, sopportato capricci, insegnato ad andare in bicicletta e a nuotare, aspirato moccoli, tenuto manine, accompagnato all’allenamento, riso, baciato, ascoltato, perso notti, lavorato per esaudire desideri, cucinato passati senza sale, pulito manine sui vetri, risolto piccoli e grandi disastri. Siamo state guardate come le più belle delle principesse e abbracciate come le più forti tra i supereroi perché agli occhi dei nostri bambini non siamo nient’altro che le loro mamme. E chiunque sia mamma o ne conosca da vicino una, sa bene che davanti ad una minaccia che incombe sui propri figli nessuna è disposta ad arretrare di un solo millimetro.
Anna e Caterina, mamme Arcobaleno