“Chi salva una vita, salva l’Umanità intera” così ringrazierà, rompendo il silenzio molti anni dopo, uno dei protagonisti de “Il medico ungherese”
Quando si narra di guerra, o della tragedia della Shoah, ci si sofferma in particolar modo sulle perdite, meno spesso sulla esistenze salvate. Ma il racconto di quegli anni terribili e della resistenza al nazifascismo ha bisogno, per essere più aderente alla realtà, di una narrazione che ricordi i diversi metodi di lotta che, tra il 1943 e il 1945, vennero utilizzati dalla popolazione.
La storia che Beatrice Andreose racconta ne “Il medico ungherese. Bambini ebrei salvati e donne coraggiose a Este”, Cleup editrice, testimonia di come il sangue può essere risparmiato anche da chi non esercita il potere, le donne in particolare che, con prudenza e coraggio, si sono attivate per salvare delle vite anche al prezzo di rimetterci la propria.
Durante l’occupazione Este brulicava di tedeschi e, dal settembre del 1944, di “perugini” guidati dal famigerato capitano Mario Carità che nel centralissimo caffè Borsa si fermava spesso per raccogliere informazioni sui clienti e sulle persone di passaggio.
Il comandante Willy Lembke della Wehrmacht, a capo del Comando di sicurezza zona sud, controllava il territorio e la città col pugno di ferro. Combatteva una feroce guerra contro le brigate partigiane ma anche contro gli ebrei che entrarono nel suo mirino subito dopo il suo arrivo ad Este. Le Brigate nere erano particolarmente zelanti e nella piccola città di provincia non mancavano i delatori.
In questo clima di capillare controllo militare due bambini ebrei di 8 e 5 anni, accompagnati dal nonno Vitaliano Bergo, pluridecorato per le diverse campagne d’Africa a cui aveva partecipato, si recavano a fare acquisti in macelleria o a prendere il latte. Con la zia Lidia camminavano per le vie e le piazze atestine, invisibili ai più ma non alle donne che li nascosero e li salvarono assieme al padre, il giovane medico ebreo ungherese Avraham Gavriel Meir Ben Zwi, chiamato Marcello Arturo Abrahamsohn al suo arrivo in Italia. La giovane famiglia, composta dalla moglie del medico, Giovanna Bergo, e dai due piccoli Roberto e Claudio, dall’autunno del 1943 fino alla fine della guerra, verrà accolta in due abitazioni del centro storico. Quella di Elvira Carbonin in via San Girolamo, in prossimità del castello carrarese, e quella della famiglia composta da Maria, Bianca, Gina e Sandra Gajo in via Monache, a pochi metri dalla Torre della Porta Vecchia e ad un centinaio dal Collegio Vescovile, diventato nel gennaio del 1944 sede della Wehrmacht.
È evidente che, dopo l’8 settembre, la scelta di nascondere ebrei, disertori o oppositori politici mette in discussione la fedeltà al regime sia tra i “sudditi” sia tra le istituzioni che ne facevano parte come l’Arma dei Carabinieri Reali, il podestà e in parte anche l’esercito. Dinanzi alla ferocia tedesca, nascondere una famiglia di ebrei richiede non ingenuità ma lucidità, pazienza, coraggio e determinazione. Una forza straordinaria che mette in luce la solidarietà tra gli uomini e la fiducia in sé stesse delle donne. Una solidarietà, che l’autrice descrive, nata tra donne di generazioni diverse, appartenenti alla media borghesia atestina, nei confronti di una famiglia e, soprattutto, dei due bambini Abrahmsohn. Nonostante, come detto, Este fosse ben presidiata da tedeschi e fascisti, le protagoniste riusciranno a nascondere talmente bene il loro segreto che i loro protetti si salveranno e nessuno ne sarà per molti anni a conoscenza.
Andreose lo scoprirà molto tempo dopo grazie ad una decina di righe in un foglio che nel 2005 le aveva consegnato l’amico Italo Baratella, studioso di storia locale. In esso uno sconosciuto ringrazia le sorelle Gajo, in occasione del funerale di Bianca, per averlo nascosto e salvato tra il 1943 e il 1945 ad Este. Il testo si conclude con queste parole: “Qui io trovai affetto, amore, educazione ed istruzione. Chi salva una vita, salva l’Umanità intera”..
Il libro si avvale della prefazione di Giorgio Romanin Jacur e della postfazione di Riccardo Calimani. Pp. 144, 18 euro. Immediatamente disponibile alla Feltrinelli di Padova e alla Gregoriana di Este, è ordinabile in qualsiasi libreria.
L’autrice
Andreose Beatrice, 1957, laureata in Scienze Politiche a Padova, vive e lavora a Este. Giornalista, già docente di Diritto ed Economia Politica, collabora con Alias, il supplemento culturale de Il manifesto, ha collaborato per molti anni con il mattino di Padova . Ha pubblicato i volumi Il diavolo e la Corte. Pubblico ministero e potere politico (1985), Premio dei colli. Este 1960-1971. Il festival senza divi (2007), Antonio Zanchi ‘pittor celeberrimo’ 1631-1722 (2009), e Radici connettive. Il ‘68 ad Este e nella Bassa padovana (2021). e’ Assessora alla transizione ecologica e alle pari opportunità nel Comune di Este.
Lucio Passi