Padova, ed in particolare il suo centro storico, sono caratterizzate da una cronica carenza di verde. Ai primi dell’Ottocento – come testimonia la pianta di Giovanni Valle del 1784 – orti, giardini ed aree agricole occupavano più del 40 per cento del territorio compreso entro le mura del Cinquecento.
Poi verso la fine del secolo è iniziato un intenso processo di “densificazione” e di espansione urbana, che, oltre ad erodere la quasi totalità degli gli spazi verdi interni alla città storica, ha dato vita a periferie in cui il verde disegnato nelle mappe del piano regolatore è stato progressivamente riconvertito in aree edificabili. Sino alla situazione attuale che colloca Padova al sesto posto tra le città più inquinate d’Italia e, causa la carenza di verde, al secondo posto per rischio di morte da surriscaldamento estivo, uno degli eventi meteorologici estremi che secondo gli scienziati sono causati dal cambiamento climatico (ne abbiamo parlato qui).
La criticità della situazione del centro storico è documentata dagli stessi dati forniti dal Comune sulla localizzazione e le dimensioni delle aree destinate a verde pubblico. Se si sommano tutte le aree verdi con superficie superiore ai 5.000 mq (che è lo standard europeo per poterle classificare come aree parco – (vedi la grafica qui) si ottiene una superficie complessiva di 121.258 mq che corrisponde, sulla base della popolazione del centro storico censita nel 2018, a 4,35 mq/abitante. Valore che sale a 4,91 mq/abitante, se si sommano anche le altre aree verdi di superficie inferiore ai 5.000 mq censite dal Settore verde (pari a 137.032 mq), mentre lo standard richiesto dalla Regione Veneto è di 15 mq/abitanti previsti, riducibile a 7,5 mq/abitanti per i centri storici, “… qualora si dimostri l’impossibilità di raggiungere le quantità minime” (vedi la grafica qui).
La Commissione europea ha proposto degli “indicatori di sostenibilità” (adottati dal coordinamento delle “Città sostenibili” e da Agenda 21) e richiede di valutare l’accessibilità alle aree verdi, ovvero la percentuale di cittadini che vive entro 300 metri da aree di verde pubblico con superficie superiore ai 5.000 mq. Se si esamina la localizzazione dei “parchi” di Padova, ci si accorge che sono quasi tutti connessi al sistema della cinta bastionata cinquecentesca: il che rafforza l’importanza del progetto di Parco della Mura e delle Acque proposto dal Comitato Mura, ma evidenzia anche la ridotta percentuale di abitanti che possono con facilità frequentare ed usufruire detti spazi. In particolare il settore occidentale del centro storico appare del tutto privo di una adeguata dotazione di spazi verdi.
La destinazione d’uso delle aree della ex caserma Prandina gioca dunque un ruolo fondamentale per il futuro di Padova. La folle idea di destinarla a mega-parcheggio, a servizio degli esercizi commerciali del centro, non solo appare un oltraggio alla storia dei luoghi ed all’immagine della città, ma farebbe perdere un’occasione eccezionale, forse unica, per assicurare ad una parte consistente degli abitanti del centro (e non solo del centro) la possibilità di beneficiare di un vero parco urbano e per contribuire ad una significativa riduzione dell’inquinamento urbano e delle emissioni climalteranti.
Va infatti ricordato che, secondo quanto documentato al World Forum on Urban Forests tenutosi a Mantova lo scorso mese di novembre, anche un solo grande albero può garantire ossigeno per quattro persone, mentre un ettaro di foresta urbana, se ben tenuta, può assorbire 300 tonnellate di CO2, proprio come le foreste pluviali o le giungle tropicali, contribuendo inoltre allo smaltimento delle acque in caso di forti precipitazioni e alla riduzione delle temperature estive di 2-8 gradi.
Sergio Lironi – Presidente onorario di Legambiente Padova
(sintesi a cura della redazione di Ecopolis, per leggere il testo completo clicca qui)
Complimenti per l’articolo.Da normale cittadino concordo pienamente Sergio Finesso
Padova è stata trasformata dai veneziani in una città che doveva resistere ad assedi prolungati nel tempo. Per questo motivo, quindi per avere orti e una vera e propria ‘industria’ alimentare intra moenia, e per costruire mura in grado di meglio difendersi dall’evoluzione delle armi, la cinta muraria è stata di molto spostata all’esterno di quello che era l’abitato dell’epoca. Il progressivo venir meno dell’importanza militare delle mura ha progressivamente lasciato il posto ad una continua e costante opera di costruzione. In modo particolare negli anni ’50/’60 e successivi dello scorso secolo le mura erano -e sono anche oggi- talmente distanti dal vero centro storico che vi è stata una notevole espansione edilizia. Per fortuna si è trattati di una espansione edilizia anche in altezza. In molti casi certo non bella, ma almeno in grado di garantire una opportuna e necessaria densificazione della città (visto che c’era la necessità e la possibilità). In questo sistema di cose la ex caserma Prandina è la grande OPPORTUNITA’ e la grande NECESSITA’ di dare le opportune risposte alle tantissime persone che vogliono liberamente fruire e usufruire -non solo a fini di commercio, ma anche per molti altri aspetti/necessità tra cui il turismo/cultura!!!, di quella parte di vero centro storico diventato nel tempo pedonale e ZTL. Si tratta di uno sviluppo in linea con quello di moltissime altre città europee: un grande parcheggio, AFFATTO centrale (per i motivi addotti in precedenza), al servizio del centro storico. Speriamo che potrà essere un parcheggio da migliaia di posti auto. … che la città faccia la città, e che la campagna faccia la campagna.
Oggi ho letto per la seconda volta la battuta di Luca Luciani “la città faccia la città e la campagna faccia la campagna”.Mi sembra sorgano due interrogativi:1)Fare la città secondo quale modello?2)Dove inizia la campagna?Il modello è forse quello dell’impermeabilizzazione dei suoli,delle cubature edilizie, dello sviluppo in altezza?E’ quello dei parcheggi da 1.000 posti auto in aree preziose destinate a verde urbano da decenni nei piani regolatori?Questo è un modello che sta facendo collassare il pianeta.E sul confine tra città e campagna vogliamo forse dire ad Albignasego,Limena,Vigonza che facciano la campagna, perché a fare la città ci pensiamo noi?Credo che sul tema sia preferibile leggere un urbanista piuttosto che un politico.Per esempio Leon Krier, dal quale si colgono concetti come “la divisione funzionale in zone della città e della campagna è stato un progetto autoritario e in nessun luogo è stato la risposta a una domanda democratica” o “l’estremo sviluppo delle forze produttive ha distrutto in meno di 200 anni quelle città e paesaggi che erano il risultato di migliaia di anni di fatiche, intelligenza e cultura dell’uomo”.Ma puo’ bastare anche il coltissimo Philippe Daverio, che ci ha recentemente consigliato di affidarci a un paesaggista.Grazie dell’attenzione Sergio Finesso