Una mostra per raccontare il quotidiano all’interno delle strutture di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo. Appuntamento alla Pangea
Rifiutando rappresentazioni e luoghi comuni basati su dolore e miseria, le foto del volume No Promised Land racconta per la prima volta il quotidiano all’interno delle strutture di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo, attraverso uno sguardo originale e intimo, capace di mettere in relazione esistenza umana e spazio fisico.
Realizzato in Veneto, una regione chiave nel sistema Italia e nei flussi migratori verso l’Europa, No Promised Land crea un percorso fotografico dove ogni struttura è il capitolo di una storia che giunge infine a modellare la realtà sconosciuta del “sistema di accoglienza” per migranti, rifugiati e richiedenti asilo.
Nel solo 2016 il numero di persone che hanno lasciato l’Italia è stato notevolmente superiore al numero dei migranti approdati sulle sue coste, ma siamo ormai abituati all’uso intensivo che i media fanno di immagini che raffigurano i migranti per cui ci appaiono tutti uguali e spesso trattati poco più che come numeri. Rifiutando rappresentazioni e luoghi comuni basati su dolore e miseria, Andrea Ferro, fotogiornalista, è l’autore del volume fotografico “No promised land” dal quale sono tratte le foto della mostra “Migrazione e spazio fisico “ che sarà inaugurata sabato 28 ottobre alle 18,30, presente l’autore che dialogherà con la giornalista Donatella Gasperi.
“I richiedenti asilo, sono ritratti da Ferro con la delicatezza e l’intimità tipiche dell’osservatore che si è fatto partecipe delle storie che vuol narrare, sono persone permanentemente in attesa di ritornare in transito, come passeggeri bloccati in un aeroporto in cui ormai anche l’ultimo volo è stato da tempo cancellato” dice l’antropologo visuale Riccardo Bononi.
L’espressione “struttura” è usata da Ferro come termine generico racchiudendo consapevolmente un ampio panorama di situazioni abitative talvolta agli antipodi. Nel corso di questa narrazione per immagini si viene a contatto con storie e luoghi apparentemente molto diversi tra loro, ma allo stesso tempo molto simili e rappresentativi di un momento storico di importanza cruciale.
Per essere esaustivi, si è iniziato con l’esplorare casi in cui l’accoglienza ha fallito o non è mai avvenuta, passando poi attraverso fasi di accoglienza ordinaria fino a giungere a esempi di housing sociale, quest’ultimi considerabili come un importante passo verso la futura integrazione.
In “No Promised Land“ la combinazione tra fotografia e architettura gioca un ruolo fondamentale e nel racconto visuale di come l’architettura possa svolgere compiti di accoglienza, è possibile agire costruttivamente sulla percezione di un fenomeno che resta e resterà complesso.
Marina Molinari, Redazione Ecopolis