Chiusa la fase del lockdown che ha visto il volontariato protagonista attivo, si riparte. In che modo e con quali obiettivi lo abbiamo chiesto al presidente del Csv di Padova Emanuele Alecci.
Il 7 febbraio l’inaugurazione dell’anno di Padova capitale europea del volontariato 2020 alla presenza del Presidente della Repubblica, 15 giorni dopo l’allerta per la presenza del covid-19 che ha spazzato via i programmi ma il volontariato padovano non si è dato per vinto. In pochi giorni è stato avviato il progetto “Per Padova noi ci siamo” che ha visto il Csv, il Comune e la Diocesi di Padova lavorare in sinergia per dare risposte concrete a chi aveva bisogno. Consegnare la spesa agli anziani, portare i medicinali, distribuire mascherine e buoni spesa, organizzare una casa per ospitare i senza fissa dimora. Per parte sua Legambiente Padova ha consegnato migliaia di cassette di fiori con il progetto “ColtivAzioni”. Adesso però si riparte; in che modo lo abbiamo chiesto al presidente del Csv di Padova Emanuele Alecci.
Cos’è ora Padova capitale europeo del volontariato 2020?
«La capitale del volontariato è la Padova che ha saputo rispondere all’emergenza del covid-19, sono i 1.600 volontari che hanno dato disponibilità, sono le associazioni e gli enti del terzo settore che non si sono mai fermati. Avevamo un programma cui abbiamo dovuto rinunciare, ma abbiamo fatto un lavoro straordinario. Ora dobbiamo ripartire senza disperdere questo patrimonio e, nello stesso tempo, costruendo un nuovo modello di sviluppo per la città e per la provincia. La fine del lokdown ci insegna che niente può essere come prima: spazi, relazioni, comportamenti, produzioni, consumi vanno rimodulati».
Ricostruire, non ristrutturare sembra essere l’attuale obiettivo
«Ricostruire non ristrutturare certo. Noi siamo abituati a ristrutturare e questo ha senso, ma se la situazione è completamente nuova e il vecchio è distrutto, ora abbiamo una grande opportunità di costruire. Abbiamo l’opportunità di una una fase costituente. Non a Roma, ma qui a Padova. Questo vuol dire uscire dal recinto del volontariato che fa le sue cosette perché qui c’è bisogno di volare alto. Chi ha le buone idee si metta al servizio della comunità. Tutto quello che è avvenuto ha amplificato le contraddizioni, le ha fatte diventare drammatiche e oggi tutto è cambiato».
Che fare di fronte a questo cambiamento?
«Il mondo non di può fermare ma si devono trovare modi diversi di vivere. Non possiamo vendere le fragole tutto l’anno, non possiamo puntare sugli allevamenti intensivi, non possiamo buttare via milioni di ettari dei foresta. Dobbiamo cambiare i nostri comportamenti e mai come in questo momento questi temi dovrebbero essere al primo posto dell’agenda del Paese. Questo però non si realizza in parlamento, ma tocca a noi cambiare i comportamenti quotidiani e questo porta a considerare benessere, economia, risorse. Quest’anno invece che andare in vacanza ai Caraibi magari andremo nei paesi in cui siamo nati: è un modo per riappropriarci di un territorio, di recuperare modalità che abbiamo dimenticato. Anche se non siamo capaci di lavorare con lo smart working, il “lavoro agile” che spesso è una trappola, abbiamo visto che che si può lavorare in modo diverso e le mille piattaforme che esistono ci dicono che possiamo incontrarci anche così. Senza muoverci, senza consumare».
Che volontariato si è messo in gioco in questo periodo?
«Con la grande risposta dei volontari e delle associazioni e la collaborazione con Comune e Diocesi e il mondo profit abbiamo garantito risposte concrete. Siamo orgogliosi che il “modello” che abbiamo costruito abbia permesso, da subito, di integrare le disponibilità del Governo. A livello locale è interessante che a partire dal progetto si siano sviluppate moltissime azioni spontanee, come le “connessioni solidali condivise”. Si sono attivati i giovani e si è lavorato sul territorio di appartenenza. I vicini di casa, il quartiere, sono diventati la realtà concreta da aiutare e per rispondere con tempestività ai bisogni abbiamo realizzato il volontariato di prossimità che era uno dei progetti di Padova capitale. Il modello messo in piedi ha funzionato e ci fa pensare a modalità nuove da studiare e attivare».
In che modo e con che ruolo?
«Abbiamo avuto la riconferma che il volontariato, in emergenza, fa cose straordinarie, necessarie, ma che non sono di sua competenza. Poi, quindi, deve tornare a fare il suo, senza sostituirsi a nessuno e senza cambiare il proprio ruolo. È tempo di tornare a collaborare mantenendo ciascuno il proprio ruolo sapendo che quando ci si mette tutti d’accordo si fanno cose straordinarie. Ora non perdiamo questa occasione e facciamo un ragionamento anche sul welfare da ricostruire che non può prescindere dai beni comuni. Ripensiamo insieme il nostro futuro, ma dobbiamo pensare in grande e poi agire nel piccolo altrimenti sono solo slogan. E il Csv c’è: vogliamo favorire e costruire, fare da ponte per la costruzione della nuova comunità».
Donatella Gasperi – Direttrice Ecopolis