“Il suo Breviario Mediterraneo ha un pubblico vastissimo, se lo porta dietro il volontario che parte per Sarajevo, come, ancora oggi, chi decide di fare il giro delle isole Incoronate in barca” (cit. Nicole Janigro su Doppiozero qui).
Per ricordare Predrag Matvejevic (leggi qui un ricordo su Osservatorio Balcani o vedi il documentario di Graziano Conversano “Il tempo del dopo: i Balcani di Predrag Matvejevic” qui), scomparso il 2 febbraio scorso, pubblichiamo un ampio stralcio di un suo articolo apparso nel 2009 su Sloow food (leggi qui l’originale).
L’immagine che offre il Mediterraneo non è affatto rassicurante. La sua riva settentrionale presenta un ritardo rispetto al Nord Europa, e altrettanto la riva meridionale rispetto a quella europea. Tanto a nord quanto a sud, l’insieme del bacino si lega con difficoltà al continente. Non è davvero possibile considerare questo mare come un “insieme” senza tenere conto delle fratture che lo dividono, dei conflitti che lo dilaniano: oggi in Palestina, ieri in Libano, a Cipro, nel Maghreb, nei Balcani, nell’ex-Jugoslavia, riflessi delle guerre più lontane, quelle in Afghanistan, quella ancora più vicina – in Iraq.
Il Mediterraneo conosce ben altri conflitti tra la costa e l’entroterra. L’unione europea si è compiuta senza tenerne conto: è nata un’Europa separata dalla “culla dell’Europa”. Come se una persona si potesse formare dopo essere stata privata della sua infanzia, della sua adolescenza. (…) Le decisioni relative alla sorte del Mediterraneo sono prese al di fuori di esso o senza di esso: ciò genera frustrazioni e fantasmi. Le manifestazioni di gioia davanti allo spettacolo del Mediterraneo si fanno contenute e fugaci.
(…) A cosa serve ribadire, con rassegnazione o con esasperazione, le aggressioni che continua a subire il nostro mare? Nulla tuttavia ci autorizza a farle passare sotto silenzio: degrado ambientale, inquinamenti sordidi, iniziative selvagge, movimenti demografici mal controllati, corruzione nel senso letterale o figurato, mancanza di ordine e scarsità di disciplina, localismi, regionalismi, e quanti altri ismi ancora (…).
Il Mediterraneo si presenta come uno stato di cose, non riesce a diventare un progetto. (…) Il Mediterraneo ha affrontato la modernità in ritardo. Non ha conosciuto la laicità lungo tutti i suoi bordi. Per procedere a un esame critico di questi fatti, occorre prima di tutto liberarsi da una zavorra ingombrante. Ciascuna delle coste conosce le proprie contraddizioni, che non cessano di riflettersi sul resto del bacino e su altri spazi, talvolta lontani. La realizzazione di una convivenza in seno ai territori multietnici o plurinazionali, lì dove s’incrociano e si mescolano tra loro culture diverse e religioni differenti, conosce sotto i nostri occhi uno smacco crudele.
Non esiste una sola cultura mediterranea: ce ne sono molte in seno a un solo Mediterraneo. Sono caratterizzate da tratti per certi versi simili e per altri differenti. Le somiglianze sono dovute alla prossimità di un mare comune e all’incontro sulle sue sponde di nazioni e di forme di espressione vicine. Le differenze sono segnate da fatti d’origine e di storia, di credenze e di costumi. Né le somiglianze né le differenze sono assolute o costanti: talvolta sono le prime a prevalere, talvolta le ultime. Il resto è mitologia.
«Elaborare una cultura intermediterranea alternativa»: mettere in atto un progetto del genere non pare imminente; «condividere una visione differenziata» è meno ambizioso, senza essere sempre più facile da realizzare.
Questo vasto anfiteatro per molto tempo ha visto sulla scena lo stesso repertorio, al punto che i gesti dei suoi attori sono talvolta noti e prevedibili. In compenso, il suo genio ha saputo in ogni epoca riaffermare la sua creatività a nessun’altra uguale. Occorre perciò ripensare le nozioni superate di periferia e di centro, gli antichi rapporti di distanza e di prossimità, i significati dei tagli e degli inglobamenti, le relazioni delle simmetrie a fronte delle asimmetrie.
Percepire il Mediterraneo partendo solamente dal suo passato rimane un’abitudine tenace. La “patria dei miti” ha sofferto delle mitologie che essa stessa ha generato o che altri hanno nutrito. Questo spazio ricco di storia è stato vittima degli storicismi. La tendenza a confondere la rappresentazione della realtà con la realtà stessa si perpetua: l’immagine del Mediterraneo e il Mediterraneo reale non si identificano affatto. Un’identità dell’essere, amplificandosi, eclissa o respinge un’identità del fare, mal definita. La retrospettiva continua ad avere la meglio sulla prospettiva. Ed è così che lo stesso pensiero rimane prigioniero degli stereotipi.
Predrag Matvejevic, 2009 (da Slow food.it)
Nel Meridiano (Mondadori, 2001) dedicato a Ivo Andrić, nel saggio introduttivo, scrive: “Nelle prime pagine del Ponte sulla Drina appare una delle scene più crudeli della letteratura del Novecento. Lo scrittore descrive l’impalamento di un ribelle serbo sotto l’impero ottomano e lo fa senza remore, né pietà per il lettore. (…) Se ne possono immaginare a migliaia di questi esseri umani nel corso dei secoli, nei variopinti crocevia lungo i sentieri fangosi dei Balcani. La sofferenza così “incarnata”, il male “interiorizzato”, la rivolta o la vendetta che suscitano, tutto ciò non è “conservato” o “decantato” solo all’interno del corpo o nel fondo della memoria, ma anche da qualche altra parte: non sappiamo esattamente né dove né come! Accade che un giorno le circostanze risveglino questi stati torbidi e traumatizzanti e li attivino sotto forma di resistenza o di aggressione, di sacrificio o di crudeltà”.