Con la destra in ascesa, gli scettici climatici al Parlamento UE e la Commissione allineata alle lobby industriali, chi guiderà la transizione verso sistemi agroalimentari sostenibili?
Con l’ascesa della politica di destra a livello sia UE che nazionale, gli scettici sul clima a capo dei dossier climatici al Parlamento Europeo e la Commissione Europea che danza al ritmo della deregolamentazione voluta dalle lobby, sorge una domanda fondamentale: chi rimane a spianare la strada per i sistemi agroalimentari resilienti e sostenibili? Mentre la nuova Visione per l’Agricoltura e il Cibo dell’UE è stata “priva di visione” e l’obiettivo climatico del 2040 è stato indebolito prima ancora di raggiungere il tavolo dei negoziati, una realtà deludente è rimasta costante per decenni: la riluttanza sistemica ad affrontare un inquinatore importante con emissioni stagnanti.
L’analisi dei dati rivela una situazione allarmante. Circa il 12% delle emissioni totali dell’UE proviene dall’allevamento di animali e dall’uso di fertilizzanti, mentre le torbiere prosciugate per scopi agricoli ne emettono un ulteriore 5%. A questi numeri si aggiungono le “leggi sul benessere animale obsolete” e la dipendenza da risorse esterne, che contribuiscono a una distopica “perdita di biodiversità e inquinamento diffuso”. Si potrebbe quindi presumere che un caso così convincente sia stato fatto per un “rimodellamento fondamentale dei sistemi agroalimentari”.
Eppure, un’incoerenza persistente definisce la politica dell’Unione: la politica agricola dell’UE non prende sul serio la crisi climatica, e la politica climatica dell’UE ignora in gran parte l’agricoltura. L’autovalutazione della Commissione, che dipinge un quadro positivo dell’Unione vicina al suo obiettivo di riduzione delle emissioni, maschera un divario di ambizione molto più ampio per settori chiave come l’agricoltura. Molti dei piani nazionali, noti come NECP, mancano di dettagli e impegno, relegando le misure a mere iniziative volontarie.
Di fronte a questa inazione, il nostro esame dei piani nazionali aggiornati ha rivelato che molti paesi giustificano la loro mancanza di progressi etichettando l’agricoltura come un settore “più difficile” in cui “ridurre le emissioni in modo economicamente efficace e competitivo”. Questa affermazione, per quanto ampia, nasconde una realtà scomoda: l’incapacità di affrontare un problema la cui risoluzione è fondamentale per il futuro del nostro pianeta.
Siamo davvero disposti a ignorare la scienza, che ci dice chiaramente che non possiamo permetterci ritardi o deviazioni? Quali saranno le conseguenze se un intero settore non farà la sua parte?
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Redazione Ecopolis