VOCI E STORIE DALLA GLOBAL SUMUD FLOTILLA

La Global Sumud Flotilla, descritta dal giornalista Ivan Grozny, non è solo una missione per portare aiuti a Gaza, ma un movimento globale di resistenza 

 

<<Ciao, io mi trovo sulla Luna Bark>>” comincia così, la conversazione con Ivan Grozny, giornalista padovano imbarcato sulla Global Sumud Flotilla, iniziativa che vede salpare nel Mediterraneo più di 50 imbarcazioni provenienti da 44 paesi con l’obiettivo di rompere il blocco israeliano su Gaza. A bordo, con lui, ci sono altre dieci persone, un gruppo eterogeneo per provenienza e storia, ma unito da un unico, potente scopo. <<Questo è un aspetto molto importante>> continua, <<perché una moltitudine di persone si muove all’unisono con lo stesso scopo, quello appunto di cercare di creare un cordone umanitario e di far inceppare questo meccanismo di guerra, che poi non è una guerra, è un massacro>>.

L’equipaggio, nonostante la ristrettezza di uno spazio di appena 15 metri calpestabili è molto unito. Ognuno porta a bordo una storia unica: c’è Surya dall’Australia, uno dei promotori delle manifestazioni che hanno portato in piazza centinaia di migliaia di persone a Sydney; c’è Sue, una dei componenti dell’organizzazione che ha seguito passo dopo passo la crescita della flottiglia; c’è José del CALP, il sindacato dei portuali genovesi che ha bloccato l’imbarco di armi sulle navi; e c’è Marco, un marinaio sardo con una storia profondamente umana. Quattro anni fa si è innamorato di una donna palestinese, Adaman, e adesso, dopo il 7 ottobre, si sentono soltanto via telefono. La sua famiglia vive in un campo profughi e lui vorrebbe raggiungerla, un desiderio che porta con grande dignità senza farlo pesare a nessuno. A bordo ci sono anche Raffaello e Carlo, due uomini di mare che hanno messo le loro conoscenze nautiche al servizio della missione, e un giovane medico svedese, il “Doc”, il cui obiettivo è aiutare professionalmente le persone di Gaza. Dalla Malesia arrivano tre persone, il giornalista Zena, sua figlia Lena, e il tiktoker Mohammed, che aggiornano costantemente i loro followers sulla missione.

A livello pratico, la navigazione procede, anche se i dettagli sul come raggiungere Gaza rimangono segreti per questioni di sicurezza. <<È evidente che il nostro obiettivo è quello di arrivare a Gaza, quello di creare un corridoio umanitario>> ci spiega Ivan. <<Tutti gli aiuti, medicinali e cibo, che sono accatastati e ammuffiti in questi mesi ai valichi di terra, noi speriamo che invece attraverso il mare si possa farli arrivare>>. La missione è sostenuta da migliaia di persone a terra e centinaia direttamente coinvolte nell’organizzazione. <<Noi non siamo i protagonisti della storia, piuttosto siamo i privilegiati quelli che hanno la possibilità di portare questa voce a Gaza e quindi sentiamo questa responsabilità>>. Per questo, Ivan insiste che l’unico aiuto di cui hanno veramente bisogno è il sostegno delle persone a terra. <<La flottiglia senza la gente a terra non è niente, non rappresenterebbe nulla. Invece così siamo una flotta unica, a terra e a mare, un equipaggio unico e questo aspetto, secondo me, è molto molto importante>>. Una menzione speciale va ai cittadini di Portopalo, che hanno protetto e accolto la flottiglia, creando un legame indissolubile.

Ivan riflette infine sulla differenza tra questa missione e le sue precedenti esperienze sui fronti di guerra. Qui non c’è un conflitto tra eserciti, ma <<un’aggressione di un esercito ai civili>>, una situazione che non avrebbe mai pensato di vivere, seppur indirettamente. Il suo legame con la Palestina è profondo, nato anche grazie all’amicizia con Vittorio Arrigoni, una ferita che non si è mai chiusa. La sua battaglia non si limita alla Palestina; ha seguito la causa curda, che con il suo modello di “municipalismo democratico” si batte per i diritti e non per i confini. Ha visto come le bollette hanno fatto scemare la solidarietà verso l’Ucraina, e ha constatato che le guerre sono spesso mosse da interessi economici. La sua esperienza lo ha portato alla consapevolezza che tutto sia connesso: la storia di Israele e del sionismo, l’occupazione della spiaggia più bella del Libano, le lotte dei curdi in Rojava, i diritti che devono prevalere sui confini. Il suo viaggio a bordo della flottiglia è, in un certo senso, la sintesi di tutte queste battaglie, un modo per ribadire che la lotta contro l’ingiustizia sociale e per i diritti dei popoli oppressi è un impegno costante e universale.

Aurora Circelli, Redazione Ecopolis