C’è voluta la mobilitazione dei cittadini per ricordare il vincolo di tutela indiretta sui giardini ex Zantomio. Una condizione di pregio che un qualsiasi CapoSettore all’urbanistica avrebbe dovuto conoscere prima di istruire la delibera di variazione urbanistica, sollecitata da un Sindaco desideroso di fare cassa.
Invece è solo grazie all’impegno del Comitato Zantomio, capitanato dell’arch. Maria Pia Cunico, docente di Architettura del Paesaggio presso lo IUAV di Venezia, al quale si sono affiancati Italia Nostra, Legambiente ed altre associazioni e cittadini, se per ora è stata sventata la trasformazione delle serre dell’ex vivaio di via Raggio di Sole in un edificio di 4.500 mc, alto 12.50 m, che avrebbe compromesso la conservazione e la valorizzazione dello storico giardino.
Sull’intervento dovrà infatti pronunciarsi la Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici, in quanto l’ex giardino Zantomio rientra tra i beni oggetto di tutela disciplinati dal Decreto legislativo n. 42/2004 – Codice dei beni culturali e del paesaggio. Il giardino infatti appartiene ad un istituto pubblico (la S.P.E.S. Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficienza, nata con decreto della Regione Veneto n. 23/2005) ed è un bene immobile già esistente da prima del ‘900, ben oltre quindi il termini di 70 anni necessario perché, ai sensi del Codice dei beni culturali, scatti l’obbligo di tutela.
Sicuramente la Soprintendenza si opporrà alla realizzazione di un edificio che incide negativamente sull’aspetto e sulla consistenza del giardino Zantomio, ma, per potere scongiurare del tutto il pericolo che grava sull’area, dovrà impugnare, nelle competenti sedi giudiziarie, la variante urbanistica approvata dal Comune (delibera di C.C. n. 24 del 30/03/2016), che consente invasive trasformazioni edilizie all’interno di un prezioso sito senza tenerne in alcun conto il valore ambientale e l’obbligo di tutela.
È sconcertante, per non dire scandaloso, l’operato del Comune in questa vicenda. Le previsioni urbanistiche del vecchio P.R.G., inserite nel primo Piano degli Interventi, classificavano l’area a Servizi Pubblici (Verde Pubblico Attrezzato) con demolizione senza ricostruzione dei volumi esistenti. Su istanza della S.P.E.S., motivata dall’esigenza di valorizzare l’area di proprietà per una eventuale alienazione che portasse cespiti finanziari da utilizzare ai fini istituzionali (affermazione di Dino Scantamburlo, Presidente del Consiglio di Amministrazione), il Comune ha mutato la destinazione urbanistica da pubblica a privata con le seguenti destinazioni d’uso: residenziale, commerciale, turistica e artigianale di servizio. Questi i parametri edilizi: riduzione della superficie coperta da mq 1.067,62 a mq 450, aumento del volume da mc 2.720 a mc 4.500, con altezza massima di m 12.50.
La motivazione sulle scelte della variante è ridotta alla necessità di eliminare l’esistente stato di degrado (utile ricordare che sarebbe bastato un ordine di manutenzione o di demolizione, in ottemperanza delle stesse previsioni urbanistiche, con intervento d’ufficio in danno della proprietà nel caso di inerzia). A questa motivazione viene aggiunta la ciliegina dell’interesse pubblico, rappresentato dall’ottenimento a favore del Comune del 10% del valore commerciale derivante dalla realizzazione delle opere. Perfetto! Il sindaco Bitonci ha smesso gli abiti dell’urbanista per vestire quelli del mercante, distruggendo però la bellezza per fare cassa.
E la tutela del bene culturale? Nella scheda allegata alla variante, alla voce inquadramento urbanistico generale, si legge: “Il complesso edilizio è costituito da un edificio non interessato da Decreto di vincolo notificato…”. Ma esiste il Codice dei Beni Culturali che impone la tutela dei beni immobili di istituti pubblici esistenti da più di 70 anni! Di questo obbligo il Comune se ne dimentica (sciatteria, incompetenza, lapsus freudiano? n.d.r.), accontentandosi della proposta dell’Ente di far analizzare sotto l’aspetto agronomico e paesaggistico le piantumazioni esistenti.
Non v’è dubbio che vi è materia per impugnare la variante del Comune, ma bisogna fare in fretta perché i termini scadono il 30 maggio. Oltre quella data non resterà che il ricorso straordinario al Capo dello Stato.
Il movimento sorto dal basso da parte dei cittadini che hanno a cuore la città ha sicuramente prodotto un primo risultato utile: portare al vaglio della Soprintendenza qualsiasi trasformazione dell’area, ma la guerra è lungi dall’essere vinta. Oltre a neutralizzare del tutto la variante urbanistica, il movimento dovrà convincere il Sindaco ad impegnarsi a trovare soluzioni alternative al cambio di destinazione d’uso dell’area; soluzioni che, coinvolgendo gli enti pubblici, l’università, le fondazioni ed ogni altro soggetto utile allo scopo restituiscano al godimento della città il giardino Zantomio.
Lorenzo Cabrelle – Legambiente Padova
Qual è la fonte del termine del 30 maggio per l’impugnazione della delibera?
Scusa per il ritardo, mi è mancata la linea ADSL per 3 giorni. L’impugnativa al TAR di un atto amministrativo può essere presentata entro 60 giorni dalla sua adozione. La Variante al P.I. relativa all’area di via Raggio di Sole, dove insiste il giardino Zantomio, è del 30 marzo
voglio sperare che la Soprintendenza agisca nei modi e nei tempi necessari per far recedere un progetto offensivo per la città, la sua vivibilità, il rispetto dell’ambiente. I soldi sono importanti, nessuno lo nega, ma non sono il bene supremo e il fine ultimo per cui vivere la vita. cerchiamo di ricordarcene.
Purtroppo è molto comune in certi uffici ignorare molte verità. questo caso è uno di quelle. Non si riesce a capire perché si continui con queste varianti quando non c’è ne nessun bisogno.