Per cosa ricorderemo questa COP27

Un risultato da verificare per i paesi vulnerabili e l’assenza di nuovi obiettivi hanno reso questa COP27 una conferenza di transizione.

 

Le premesse per l’ennesima COP deludente per il raggiungimento degli obiettivi globali c’erano tutte. Da un lato, la crisi dei prezzi dell’energia ha reso ancora più evidente quanto siamo tutti dipendenti, nessuno escluso, dai combustibili fossili per mantenere il tessuto sociale ed economico dei nostri paesi. Dall’altro, la guerra in Ucraina ha costretto molti paesi a diversificare i propri fornitori di energia, stringendo nuove alleanze a lungo termine che relegano le energie rinnovabili ad un ruolo di secondo piano.

Controversa è stata anche la decisione di svolgere la COP27 in un paese, l’Egitto, che sotto il governo di Abdel Fattah al-Sisi ha visto un preoccupante deterioramento nel rispetto dei diritti umani. Come riporta META, il canale dello European Environmental Bureau, non sarebbe giusto (né coerente) separare la battaglia per il pianeta da quella per i diritti umani, civili, sociali. Alla difesa per l’ambiente deve corrispondere anche una difesa dei diritti delle persone, che ne fanno parte.
Mentre si svolgeva la COP27 a Sharm el-Sheikh, in Egitto erano più di 60.000 gli attivisti politici e giornalisti in prigione. Come ribadito dalla celebre giornalista e attivista Naomi Klein: “Senza libertà politica, non vi è un’azione per il clima che abbia significato”.
Per quanto il dialogo con l’Egitto e altri paesi che costantemente violano i diritti umani sia necessario per il raggiungimento degli obiettivi globali, sono altrettanto necessari maggiori sforzi in termini di pressione internazionale, di sensibilizzazione, di diplomazia, per rispondere all’emergenza dei diritti nelle sedi multilaterali.

Il risultato più importante, ciò per cui questa COP sarà ricordata, è il tanto atteso fondo di compensazione destinato ai paesi più poveri e vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici. Una richiesta che è stata sollevata a gran voce dopo le terribili alluvioni in Pakistan, che hanno provocato 33 milioni di migranti climatici.
Dietro il fondo c’è anche una storica responsabilità dei paesi occidentali, industrializzati, nei confronti dei paesi più poveri e che hanno avuto un ruolo più marginale nel sistema economico internazionale. Il principio è che i paesi più responsabili dei cambiamenti climatici, dell’aumento delle temperature dall’era preindustriale, abbiano un obbligo morale di risarcire quelle economie nuove che, paradossalmente, ne subiranno maggiormente gli effetti per ragioni geografiche.
Grammenos Mastrojeni, dell’Unione per il Mediterraneo, ha sottolineato la polarizzazione su questo dibattito parlando di paesi “colpevolisti” e “efficientisti”: stando ai primi, sono i paesi industrializzati che devono pagare la fetta più grande della torta; stando ai secondi, addossare costi così ingenti a questi paesi non farebbe altro che metterli in grande difficoltà senza portare vantaggi a nessuna delle due parti.

Alla fine, il fondo di compensazione è stato istituito. Tuttavia, sono tantissime le domande senza risposta: chi lo finanzierà? Con quali criteri si definisce un paese povero? Per quanto sia senza dubbio un passo storico, finché non vi saranno informazioni più complete sulle risorse di questo fondo e sui paesi che ne possono far parte non c’è alcuna garanzia sulla sua credibilità.

Il grande assente della COP27 è stato un accordo più chiaro e specifico, anche questo atteso con preoccupazione, sull’azzeramento dell’uso dei combustibili fossili, primo fra tutti il carbone. Complice la crisi dei prezzi dell’energia, il tema non è stato toccato dalle decisioni di questa COP, mantenendo invariate le promesse della precedente conferenza a Glasgow.
Foglio in bianco anche sull’elaborazione di nuovi strumenti per il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, mentre sono chiare le stime di come, proseguendo con le politiche attuali, sia previsto un aumento della temperatura di 2,1-2,9°C – lontanissimo da quanto stabilito.

I comunicati dell’Unione Europea a seguito della conferenza, in particolare quelli del Vicepresidente Frans Timmermans negoziatore dell’UE, non hanno nascosto molta amarezza per il risultato raggiunto. Il vicepresidente Timmermans ha dichiarato:
La scorsa notte, le nostre trattative erano in una fase di stallo. Tanti soggetti, troppi soggetti, non sono pronti a fare oggi più progressi nella battaglia contro la crisi climatica. Ci sono stati troppi tentativi addirittura nell’annullare ciò che abbiamo deciso a Glasgow. Alcuni hanno paura della transizione che ci aspetta […]. Ma voglio chiedere a tutti voi, colleghi in questa stanza, di trovare il coraggio di superare questa paura […]. Quindi cogliamo l’opportunità dei prossimi 12 mesi per trovare il coraggio di fare di più.

Leggi l’articolo sulla COP27 di meta.eeb.org

Il bicchiere mezzo vuoto della Cop27 – Gwynne Dyer, Internazionale

La COP27 non è finita benissimo – il Post 

Andrea Maiorca, Redazione Ecopolis