L’Accordo di Programma per il nuovo Ospedale di Padova sottoscritto in questi giorni ripropone nella sostanza le stesse logiche degli anni Cinquanta che collocarono le cliniche all’interno del centro storico.
Nel documento di indirizzi programmatici allegato all’Accordo di programma per il nuovo Ospedale di Padova si denuncia il fatto che l’intero complesso giustinianeo “si è sviluppato nel corso dei decenni in assenza di un disegno organico complessivo” e che di fatto si siano trascurati gli “aspetti di tutela relativi ai beni monumentali presenti”. Lacrime di coccodrillo da parte dell’Università e dell’Azienda ospedaliera. Contro la volontà di Luigi Piccinato autore del primo Piano Regolatore Generale di Padova, furono infatti l’Università e la dirigenza ospedaliera ad imporre negli anni Cinquanta la localizzazione delle nuove cliniche all’interno del centro storico e sulla cinta bastionata cinquecentesca, operando poi negli anni successivi con progetti scoordinati, dettati unicamente dalle necessità del momento e dalle opportunità di finanziamento.
Ci si sarebbe dovuti aspettare che da questa constatazione se ne traessero alcune ovvie conseguenze per i futuri programmi d’intervento. E invece l’Accordo di Programma sottoscritto in questi giorni ripropone nella sostanza le stesse logiche. Al di fuori di un organico piano di riorganizzazione e riqualificazione urbanistica ed ambientale dell’area ed in contrasto con le norme urbanistiche vigenti si è progettata la nuova Torre di Pediatria. Per legittimarne la costruzione, a posteriori si è predisposto non un vero e proprio piano urbanistico attuativo, bensì semplicemente uno “Schema direttore”, che fornisce alcune vaghe e non vincolanti indicazioni sulle possibili destinazioni d’uso delle diverse aree in cui si ipotizza, ma non si prescrive, che possano avvenire dismissioni e demolizioni delle strutture esistenti. Unica certezza appare la realizzazione della Torre alta circa 32 metri a ridosso delle mura cinquecentesche, aprendo peraltro la strada alla possibilità di affiancare alla stessa altre due megastrutture destinate a ginecologia e ostetricia.
Nell’Accordo di Programma è prevista la costituzione di un Comitato Multidisciplinare che dovrà definire un “Documento programmatico” podromico alla fase di progettazione del nuovo Ospedale, mentre Regione ed Azienda Ospedaliera si impegnano ad avviare – sulla base di detto documento – una procedura concorsuale per acquisire il progetto di fattibilità tecnica ed economica dell’opera, ma nel punto 2.3 dell’Accordo si stabilisce anche che il generico “Schema direttore” di cui sopra può essere sufficiente per consentire, sia nell’area del giustinianeo che in quella di San Lazzaro, l’attuazione degli interventi futuri “… anche per stralci funzionali e mediante interventi edilizi diretti, senza necessità di previa pianificazione attuativa, ricorrendo ad uno o più permessi di costruire convenzionati oppure mediante l’approvazione di progetti definitivi di opere pubbliche, conformemente a quanto previsto dal Codice dei Contratti Pubblici”. Ancora una volta dunque si lascia campo libero alla possibilità di procedere – soprattutto nel caso dell’area Giustinianea – senza un organico ed unitario progetto urbano, in relazione alle sole esigenze dei diversi servizi ospedalieri ed alle opportunità di finanziamento. Un meccanismo procedurale destinato inevitabilmente – come già si preannuncia con il progetto della nuova Torre di Pediatria – a produrre devastanti effetti sul contesto ambientale ed il paesaggio urbano.
Va dunque sottolineata la necessità, sia per l’area Giustinianea che per il polo di san Lazzaro, che i singoli interventi edilizi rientrino in un coerente progetto d’insieme, elaborato con procedura concorsuale sulla base di precisi contenuti tecnici, sociali ed ambientali espressi dai diversi soggetti coinvolti nel programma. Va detto che, per parte propria, l’Università ha definito con chiarezza la propria visione del “Nuovo Polo della Salute”, precisandone le fondamentali finalità operative, le esigenze delle diverse aree funzionali assistenziali, di didattica e di ricerca, le opportune interconnessioni e le conseguenti implicazioni spaziali.
Ma il progetto di un nuovo ospedale non può rispondere alle sole esigenze degli operatori sanitari, non può essere concepito come una “fabbrica per la salute”, come un recinto chiuso, una cittadella autosufficiente e autoreferenziale.Tra i dieci principi informatori indicati, agli inizi degli anni duemila, dalla Commissione ministeriale voluta da Umberto Veronesi e diretta da Renzo Piano, ve ne sono alcuni, quali quelli della umanizzazione, della urbanità e della socialità, che implicano un fondamentale ruolo propositivo attivo da parte degli amministratori locali e della cittadinanza. Come sottolinea Renzo Piano, la qualità del progetto architettonico, l’utilizzo di tipologie edilizie non dissonanti, integrate per altezza, forma e rappresentatività con l’intorno urbano e con gli spazi verdi, possono conseguire importanti effetti curativi, perché anche la bellezza assolve ad un ruolo terapeutico. Architetture e spazi, interni ed esterni, che devono ispirare nei pazienti fiducia, gradevolezza, accoglienza, serenità, che devono, per quanto possibile, recepire “… suoni e immagini del mondo esterno, dalla vita quotidiana cui la malattia ha strappato la persona” (Roberto Masiero). Non solo. L’ospedale contemporaneo deve essere concepito come parte integrante dell’organismo urbano, come luogo aperto, come complesso in grado di ospitare una pluralità di attività assistenziali e culturali, di offrire spazi, attrezzature collettive e servizi non esclusivamente ospedalieri, usufruibili quotidianamente, almeno in parte, da tutti i cittadini.
Per conseguire queste finalità occorre che alla visione espressa dagli operatori sanitari si affianchi quella espressa dalla comunità cittadina. Una visione di come il nuovo complesso ospedaliero possa divenire motore di un più generale rinnovamento urbano e sociale. Di come – nel caso del Giustinianeo – si debbano riscoprire e far emergere i valori della storia e della cultura urbana, le regole nascoste della morfologia preesistente, o – nel caso di San Lazzaro – si debba cogliere l’occasione per creare una nuova centralità metropolitana, per ridisegnare ambientalmente, economicamente e socialmente tutto il quadrante nord-est della nostra città. E’ dunque necessario e urgente che ad integrazione dei criteri progettuali individuati dall’Università venga predisposto un analogo documento dell’Amministrazione comunale che con chiarezza definisca le problematiche connesse al contesto urbano, le finalità sociali, i valori da salvaguardare, le prescrizioni urbanistiche, paesaggistiche, architettoniche e ambientali che dovranno essere osservate dai progettisti e che saranno alla base dei criteri di valutazione per il concorso di progettazione.
Sergio Lironi – Presidente onorario Legambiente Padova