NEGLI OCCHI DI CHI VEDE

Festival Internazionale di Fotogiornalismo: tante immagini, tante storie, da tutto il mondo. Un’opportunità da non perdere

 

 

IMP 2025 – Festival Internazionale di Fotogiornalismo, è il primo Festival in Italia interamente dedicato al mondo del giornalismo per immagini. Si svolge a Padova, tra Piazza Cavour, la Cattedrale Ex Macello, la Sala della Gran Guardia e le Scuderie di Palazzo Moroni, fino al 15 giugno. E’ ospitato anche in alcune librerie indipendenti e in due gallerie d’arte. Offre 20 mostre, 4 workshop e più di 30 conferenze e visite guidate con gli oltre 40 autori rappresentati, provenienti da tutto il mondo.

Il curatore è Riccardo Bononi, laureato in Psicologia e Antropologia, ricercatore e docente di Antropologia Visuale a Irfoss e membro dell’agenzia fotografica internazionale Prospekt Photographers. La scelta di associare la fotografia alla sua attività di ricerca sul campo lo ha portato a lavorare in Africa, Sud America, Sud Est asiatico, India, Europa e Stati Uniti. Nella sua visione, la fotografia documentaria è molto di più di un semplice strumento di descrizione della realtà: è la base per un linguaggio universale, un ponte tra popoli e luoghi diversi capace di superare i confini invisibili tra culture.

La sua impronta come curatore del Festival, si vede e si sente in ogni esposizione: il visitatore viene coinvolto nei mondi che osserva, il punto di vista del fotografo è una calamita the attrae lo sguardo e i sentimenti, ogni scatto non è un’immagine, ma il racconto di una vera, lunga storia.

Il consiglio è di cominciare dall’Ex Macello, dove sono esposti i lavori più duri, difficili, impressionanti, del festival. Un’immersione che lascia sgomenti in un luogo che non poteva essere altro.

Troviamo il focus sul conflitto in Ucraina, con gli scatti più rappresentativi della tragedia e, soprattutto, della resistenza del popolo ucraino, ad opera di sei Premi Pulitzer, da Lynsey Addario a Evgeniy Maloletka, dall’italiano Fabio Bucciarelli a Carol Guzyl’unica fotoreporter al mondo ad essere stata insignita del Pulitzer per ben quattro volte. Grande spazio viene dato anche alla drammatica situazione nella Striscia di Gaza, raccontata da un collettivo di fotogiornalisti palestinesi, testimoni coraggiosi della devastazione del loro Paese e del proprio popolo, sotto cieli solcati dai missili.

Ma ci sono anche i ritratti di vita quotidiana delle detenute nel carcere femminile di Herat, nel cuore di un Afghanistan in mano ai Talebani, offerti con la delicatezza della giornalista iraniana Kyana Hayeri, vincitrice 2025 del World Press Photo. Si tratta di donne condannate per aver ucciso mariti violenti, per non aver potuto far altro che difendere in questo modo se stesse o i propri figli. E paradossalmente, in prigione, riescono a trovare una nuova vita, più libera della precedente.

Ancora di questioni di genere si parla con il fotogiornalista italo-argentino Karl Mancini, che ha dedicato gli ultimi 10 anni a raccontare la violenza sulle donne in tutta l’America Latina.

Dall’altra parte della sala, c’è il potente progetto a lungo termine di Stefano Schirato sull’inquinamento ambientale nella nostra Penisola, incluso il dramma dell’avvelenamento da PFAS in Veneto a cui collabora la Scuola di Agraria e medicina veterinaria, Dipartimento di Agronomia. Nella foto, il laboratorio del Campus di Agripolis dove il prof. Antonio Masi, UniPD, supervisiona i suoi studenti che indagano l’effetto delle molecole di PFAS su piante e suolo. Schirato ha voluto ritrarre una studentessa nel suo quotidiano lavoro di ricerca.Le sue foto testimoniano la realtà concentrandosi sulle persone : “L’inquinamento da PFAS è subdolo” – spiega durante un affollato talk  (foto) “Ho provato a fotografare le sorgenti contaminate, ma non si vede niente, solo acqua che scorre, limpida”. È per questo che i ritratti delle madri di figli perduti a causa dell’inquinamento, tra Campania, Sicilia e Veneto, dei loro visi sfranti dal dolore, o della studiosa impegnata in laboratorio, diventano il racconto di ciò che non si vede ma esiste, sotto gli occhi di tutti, anche di chi non vuole vedere.

Legata a doppio filo alle vite di chi abita i luoghi più inquinati del pianeta, la mostra di Riccardo Bononi che ci porta al confine tra Kyrgyzstan e Uzbekistan nella quotidianità della città , insieme a Chernobyl, più radioattiva al mondo. Un luogo in cui si arriva dopo giorni di autostop e cavallo, dove vivono 30 mila persone ignare o, meglio, che hanno scelto di essere ignare. Propaganda antisovietica, rispondono, quando medici e ricercatori fanno vedere la lancetta dei rilevatori di radioattività nel suolo e nell’acqua. La vita media è di poco più di 60 anni, non c’è un medico oncologo ma solo un oculista a dare consigli per gli ammalati, il bestiame pascola tra le miniere di uranio abbandonate e le persone usano l’acqua delle falde a dieci metri da cui sono interrati i vecchi cassoni di detriti radioattivi. Le risonanze verso altri luoghi, molto vicini a noi, possiamo sentirle tutti.

Altro forte collegamento con il nostro vissuto, lo ritroviamo negli scatti di Uliano Lucas, nella mostra a lui dedicata alla Gran Guardia. Qui, nell’aula occupata all’Università di Roma, tra il pubblico accalorato, spicca un Toni Negri seduto in cattedra, rinchiuso in se stesso mentre intorno c’è il caos della rivoluzione studentesca. Le altre immagini sono un escursus storico tra le piazze di Milano e di Roma, tra le manifestazioni e gli scontri con la polizia, che hanno incendiato gli animi di una generazione e che ora possiamo ritrovare grazie alle sue fotografie in bianco e nero. La domenica dopo l’inaugurazione, Lucas è andato in visita alla Basilica del Santo, sui passi di una sua esperienza personale di qualche anno fa: “Sono stato ospite dei frati per una settimana: una pratica inaspettata”, ha scherzato mentre passeggiava al sole del sagrato, “Non mi sarei mai aspettato di trovare una vera comunità di sandinisti”.

Da Piazza dei Signori  alla Galleria Civica di Piazza Cavour, la strada è breve, ma porta ad una serie di altri mondi inattesi e lontanissimi.  Con l’esibizione “American Bedroom” la fotografa americana Barbara Peacock ci conduce in un viaggio “on the road” attraverso gli Stati Uniti, raccontando le sfaccettature e le contraddizioni delle persone attraverso una prospettiva unica: la loro camera da letto.  Le didascalie sono da leggere, una per una, perché dettate dai protagonisti di queste storie meravigliose.

L’irlandese Andrew MCConnell  nel Kazakistan rurale svela l’incredibile convivenza tra gli astronauti in partenza ogni tre mesi verso la Stazione Spaziale Internazionale e la popolazione locale, nomade, dedita all’allevamento. Altrettanto sorprendenti sono anche i progetti della francese Bénédicte Kurzen che dà forma tangibile al mondo invisibile di miti e credenze delle popolazioni che vivono sull’Oceano Indiano; oppure i ritratti di Ksenia Kuleshova degli abitanti dell’Abkhazia  – micronazione del Caucaso meridionale – sospesi nell’incertezza di un sistema senza futuro.

Da non dimenticare, le altre mostre, ad ingresso libero, ospitate da Libreria Pangea, Libreria Zabarella, Galleria Artemisia Arte, Blacklight Gallery.

Info orari, biglietti, workshop e conferenze su www.impfestival.com

Angela Bigi