La Conferenza Onu sul clima di Bonn (Cop23) si è conclusa il 18 novembre scorso dopo una maratona di negoziati su dettagli tecnici per l’applicazione dell’Accordo di Parigi del 2015. Nessun risultato eclatante, solo la definizione delle procedure per arrivare alla revisione degli impegni degli stati per il taglio delle emissioni di gas serra.
Infatti gli impegni, presi a Parigi due anni fa, si sono rivelati insufficienti per raggiungere l’obiettivo dell’Accordo stesso (mantenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi, possibilmente entro 1,5 gradi) e devono essere aggiornati. Questa revisione sarà l’obiettivo della prossima Conferenza Onu, la Cop24 in Polonia, a novembre 2018.
Siamo in un surplace, ma alcuni fatti non negativi ci sono. Il primo è politico. Nei mesi scorsi l’Accordo di Parigi ha superato un importante stress test quando, di fronte al tentativo dell’Amministrazione Trump di minare i suoi valori fondamentali con l’annuncio del ritiro unilaterale statunitense, vi è stata una unanime e globale risposta che l’Accordo non è rinegoziabile. Un messaggio chiaro e forte: da Parigi non si torna indietro.
Inoltre, grazie alla scelta di Trump, si è costituita una nuova leadership climatica globale guidata da Europa e Cina, insieme alla nuova Alleanza per il Clima statunitense, impegnata a lavorare insieme ai paesi emergenti e in via di sviluppo per accelerare la transizione verso un’economia globale a zero-emissioni.
Fine delle buone notizie. Cosa succede nei singoli stati? Ce lo dice annuale rapporto di Germanwatch che prende in considerazione la performance climatica di 56 paesi del Pianeta che rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali.
Primo dato: nessun paese si attesta in una delle prime tre posizioni, in quanto nessuno di questi ha raggiunto la performance necessaria per mantenere le emissioni globali al di sotto della soglia critica dei 2°C, secondo quanto previsto dall’Accordo sul clima di Parigi.
Ad aprire la graduatoria è la Svezia, al 4° posto, con un’ottima performance nella riduzione delle emissioni pro-capite nel periodo 2010-2015, consentendole così di essere sulla buona strada per rispettare gli obiettivi di Parigi.
Segue la Lituania (5°) con un livello di emissioni in linea con Parigi, ma che negli ultimi anni ha registrato un preoccupante aumento delle emissioni. E poi il Marocco (6°) che consolida la sua leadership in Africa, grazie agli investimenti nelle rinnovabili e agli impegni assunti (riduzione del 32% del trend attuale delle sue emissioni entro il 2030) nell’ambito dell’Accordo di Parigi.
L’Italia conferma il 16 posto dello scorso anno grazie alla buona performance nelle rinnovabili dovuta all’onda lunga degli investimenti degli anni precedenti, arrestatasi nel 2014, e dal contributo dell’efficienza energetica.
Un risultato raggiunto nonostante l’assenza di una politica climatica nazionale adeguata agli obiettivi di Parigi. Un’assenza che si fa sentire sempre più: le emissioni in Italia sono continuate a crescere anche nel 2016 dello 0.4% rispetto all’anno precedente e dopo il 2% del 2015, invertendo la tendenza positiva degli anni scorsi che ci ha consentito una riduzione delle emissioni attestatasi nel 2016 al 16.4% rispetto al 1990.
Tra i paesi emergenti, l’India conquista il 14° grazie ad una buona performance climatica dovuta alle basse emissioni pro-capite e al considerevole sviluppo delle rinnovabili, da sostenere ancor più per essere in linea con gli obiettivi di Parigi.
La Germania, dopo molti anni di leadership, conferma il suo trend negativo posizionandosi al 22°posto. Performance dovuta alla quota ancora considerevole del carbone nel mix energetico nazionale, che non consente la necessaria riduzione delle emissioni in coerenza con Parigi ed indispensabile al raggiungimento dell’ambizioso obiettivo di riduzione entro il 2020 del 40% delle emissioni rispetto al 1990. Nel 2016 si è registrata, infatti, una riduzione del 28% con un trend al 30-32% al 2020.
Nelle retrovie si posizionano la Cina (41°) e gli Stati Uniti (56°) principali responsabili delle emissioni globali. Per quanto riguarda la Cina, nonostante la scarsa performance rispetto agli obiettivi di Parigi, va sottolineata la sua leadership globale nella riduzione del consumo di carbone e lo sviluppo delle rinnovabili, che tuttavia costituiscono ancora una quota limitata del suo mix energetico.
Infine gli USA: con Trump sono indietreggiati in quasi tutti gli indicatori compromettendo i passi in avanti degli scorsi anni. Ma nonostante la nuova presidenza, si è costituita una inedita Alleanza per il Clima. Oltre 2.500 tra stati, città, imprese nazionali e multinazionali, università e college hanno confermato a Bonn la partecipazione statunitense all’Accordo e il mantenimento degli impegni assunti a Parigi attraverso la loro azione congiunta, bypassando l’Amministrazione federale.
La Nuova ecologia, sintesi a cura di ecopolis