I fluoropolimeri devono essere inclusi nella restrizione universale sui PFAS: i fatti superano le affermazioni dell’industria
La proposta di restrizione universale dell’Unione Europea sui PFAS, noti anche come “forever chemicals”, sta sollevando un acceso dibattito, in particolare riguardo all’inclusione dei fluoropolimeri. Questi materiali, ampiamente utilizzati in settori che vanno dai rivestimenti antiaderenti per pentole all’elettronica, fino ai componenti di auto e tessuti, sono di fatto una sottocategoria di PFAS e devono essere regolamentati per affrontare l’inquinamento alla radice. L’industria sta esercitando pressioni per ottenere deroghe illimitate, sostenendo che i fluoropolimeri possano essere prodotti e gestiti in modo responsabile e che siano indispensabili per settori chiave come la transizione energetica (Green Deal europeo).
Tuttavia, l’analisi del ciclo di vita completo del prodotto smentisce queste affermazioni poiché i fluoropolimeri destano preoccupazione in ogni fase, dalla produzione allo smaltimento. Studi scientifici recenti hanno dimostrato che gli impianti di produzione continuano a rilasciare nell’aria e nell’acqua quantità significative di PFAS, inclusi sostituti a catena più corta. Questi nuovi composti, anch’essi persistenti e pericolosi, mettono in discussione la tesi che i fluoropolimeri siano “polimeri a bassa preoccupazione” (PoLC), un’etichetta basata su criteri obsoleti dell’OCSE che l’organizzazione stessa non considera più vincolanti. Anche la gestione a fine vita è critica, contrariamente alle rassicurazioni dell’industria, lo smaltimento in discarica non distrugge i PFAS, ma ne consente il rilascio nell’ambiente tramite percolato e microplastiche. L’incenerimento è inefficace: i fluoropolimeri si decompongono in sostanze altamente persistenti come l‘acido trifluoroacetico (TFA), ormai dominante nell’acqua potabile in Germania. Il riciclo è quasi del tutto impraticabile, è fondamentale notare che solo l‘8% del volume totale dei fluoropolimeri è destinato a quelli che potrebbero essere considerati usi essenziali, mentre la maggior parte è destinata a trasporti, rivestimenti e prodotti di consumo.
L’affermazione dell’industria secondo cui i fluoropolimeri sarebbero indispensabili per il Green Deal viene smentita, soprattutto di fronte al rapido progresso delle alternative. Le aziende all’avanguardia stanno già investendo in soluzioni prive di PFAS; l’impegno di giganti come 3M, che ha annunciato l’uscita dalla produzione di tutti i fluoropolimeri entro il 2025, è la prova che un futuro libero da questi composti è possibile e imminente. La restrizione universale dell’UE è quindi vista da molti come l’unica via per fornire la certezza normativa necessaria, ridurre i rischi aziendali e incentivare l’innovazione verso soluzioni chimiche più sicure e sostenibili, e sebbene il sistema proponga tempi di transizione adeguati, l’esclusione completa dei fluoropolimeri rimane un passaggio necessario per un’industria più verde.
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Redazione Ecopolis
