L’ultima legge in materia urbanistica della Regione Veneto fissa, per ogni Comune, una quantità massima di territorio consumabile da qui al 2050.
La legge ha certamente dei difetti, come quello di non considerare interventi che il suolo lo cementificano fortemente, ad esempio le opere di interesse pubblico: è il caso del nuovo ospedale di Padova Est che non verrà conteggiato nei limiti fissati dalla Regione. Ciononostante offre indubbiamente anche alcune importanti opportunità.
Per cominciare dovrebbe finire l’era dello “stop al consumo di suolo” solo annunciato in campagna elettorale e poi disatteso con l’alibi dei “diritti acquisiti” dai costruttori. Rivedere la pianificazione comunale mettendo un freno alla cementificazione sarà da oggi un obbligo di legge: per la città di Padova significa rivedere le abnormi previsioni di nuove costruzioni passando da 650 a 39 ettari di superficie consumabile. In una delle cinque città italiane segnalate dall’ISPRA ad elevata criticità per il livello di saturazione urbana, è un intervento necessario ed urgente, come ci ricordano costantemente l’inquinamento atmosferico e la fragilità del territorio ad ogni nuovo acquazzone.
Lo stop al consumo di suolo può rappresentare, inoltre, un forte impulso per i processi di rigenerazione urbana, che altrimenti rischiano di restare al palo fintanto che si potranno fare speculazioni edilizie sui terreni verdi. Pensiamo ad esempio alla caserma Romagnoli a Chiesanuova e ai terreni agricoli adiacenti, a nord e sud di via Pelosa minacciati da nuove urbanizzazioni mentre la cubatura dell’ex caserma marcisce.
Nella scheda dei Luoghi del Paesaggio realizzata alcuni anni fa da Legambiente (vedi qui) l’area veniva descritta così: «Edilizia e traffico dividono lo spazio in tanti frammenti tra loro scollegati. Assediano gli spazi pubblici e le pur non piccole aree verdi, che piano piano cedono, cadendo in stato di abbandono. Per chi passa e per chi vi abita resta poco di bello…». Far leva su elementi già presenti in zona quali l’Istituto di Agraria, il parco ed il canale Brentella, questa la proposta avanzata per superare la frammentazione del territorio e immaginare nuove funzioni per gli spazi dell’ex-caserma.
Stop al consumo di suolo e valorizzazione di elementi già presenti nel territorio possono d’altronde essere i punti di partenza per la costruzione del Parco Agropaesaggistico Metropolitano, il progetto per l’agricoltura e lo sviluppo sostenibile richiesto nell’Appello per la riconversione ecologica della città di Padova promosso alcuni mesi fa da 40 sigle cittadine. Oltre al Basso Isonzo, particolarmente significativa è in quest’ottica appare anche l’Isola di Terranegra.
Nei due chilometri di fascia verde che separano la città dalla zona industriale si possono trovare, infatti, il parco e il fiume Roncajette, il canale San Gregorio e La Fenice– Green Energy Park, con le sue attività formative, gli spazi per le attività esterne e gli scout. Vi hanno sede inoltre l’agriturismo La Scacchiera, l’Osteria all’Isola di Terranegra, il maneggio e l’azienda agricola Tiarca, mentre da qualche anno in un boschetto tra le anse del fiume si tiene Woodscrak, la festa del birrificio artigianale CRAK con ospiti da tutto il mondo, musica e possibilità di campeggio.
Non mancano dunque nel nostro Comune realtà esistenti da valorizzare e mettere in rete, migliorandone le prestazioni ecologiche e proteggendole da interventi dannosi per il contesto ambientale, ben rappresentati in questo caso dal traliccio radiofonico di 104 metri installato tre anni fa a sovrastare il paesaggio o le minacce di nuove costruzioni derivanti dalla perequazione.
Stop al consumo di suolo, rigenerazione urbana e Parco Agropaesaggistico possono essere oggi più che mai ingredienti di uno sviluppo urbanistico sostenibile della città di Padova. È un’occasione da non perdere.
Sandro Ginestri – Presidente Legambiente Padova
Non è necessario rivedere alcunché: è sufficiente rispettare di volta in volta le norme. Ma i diritti acquisiti dai proprietari e relativi eventuali costruttori restano: eccome se restano. E in ogni caso, quando la città non dovesse fare la città, ci penseranno i comuni contermini ad offrire ciò che la città non può o non vuole offrire: come è puntualmente avvenuto negli ultimi decenni.