Un’estate tragica che dimostra come la crisi climatica sia sempre più vicina al punto di non ritorno. Occorre cambiare. Tutti.
Un’estate funestata da siccità, incendi, inondazioni, ghiacciai che crollano ha reso più evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici già leggibili nella perdita di biodiversità, nell’aumento della temperatura dei mari e degli oceani, nello zero termico che ormai si attesta oltre i 5000 metri di quota. Ne abbiamo parlato con Salvatore Pappalardo, professore del Dipartimento Icea dell’Università di Padova.
Il cambiamento climatico in atto è causa di eventi estremi che comportano costi altissimi non solo economici: come porre un freno in tempi brevi?
«Il cambiamento climatico a cui stiamo assistendo è un fenomeno globale con impatti locali, in atto da oltre due secoli, ossia da quando stiamo immettendo ingenti quantità di gas climalteranti in atmosfera, tra tutti l’anidride carbonica legata all’uso – sembra irrinunciabile – di combustibili fossili come gas, petrolio e carbone. A dispetto di una lieve flessione delle emissioni nel 2020, legata però al calo delle attività produttive durante i lockdown nella prima fase della pandemia e non a scelte in materia di politiche energetiche, sono tornate a crescere, balzando ad un +6%. Secondo il rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia uscito a marzo, nel 2021 abbiamo battuto i record precedenti, emettendo globalmente oltre 36 miliardi di anidride carbonica per combustione di energia fossile. Considerando la guerra in Ucraina, la crisi energetica e le risposte che si stanno dando a livello nazionale ed internazionale per garantire il fabbisogno, temo che nel 2022 le emissioni di gas serra non andranno a diminuire. Questo comporterà un ulteriore aumento del surriscaldamento globale. Dalle nostre analisi, svolte nell’ambito delle ricerche del Master in GIScience (ndr Scienza dell’Informazione Geografica), il surriscaldamento globale ha portato ad un aumento medio della temperatura di +1,3 °C, ossia quasi mezzo grado ogni decennio. Non è poco, lo si chieda agli agricoltori che sono strettamente dipendenti alle condizioni meteo-climatiche.
Gli impatti fisici locali del cambiamento climatico sono molteplici, possono essere “divergenti” e variano da un contesto geografico all’altro: dal cambiamento dei regimi di precipitazione tipici, all’aumento dei cosiddetti eventi meteorologici estremi come ondate di calore e fenomeni di precipitazione intensa ossia i nubifragi.
Nonostante i continui allarmi lanciati dalla comunità scientifica internazionale – tra cui il Pannello Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, il famoso IPCC – e gli accordi internazionali per il clima (ultimo il Climate Pact della Conferenza delle Parti, la COP26 di Glasgow) ci accorgiamo che qualcosa non torna solamente durante o dopo l’emergenza, come ci testimoniano l’evento e tragedia del ghiacciaio della Marmolada o la devastante situazione di siccità attualmente in corso nel Nord Italia.
Si può intervenire in tempi brevi? Se per ‘breve’ si intende una scala temporale di anni, la risposta purtroppo è no. Il sistema climatico è complesso e ci mette anni o decenni a recepire riduzioni nelle emissioni di gas climalteranti, anche se sostanziali. Ma contrastare il cambiamento climatico significa pensare al futuro prossimo e alle giovani generazioni. E non v’è dubbio: bisogna quanto prima ”invertire la rotta’, in primis attuando politiche per l’uscita dai combustibili fossili, primi responsabili del cambiamento climatico e ‘ridare parola’ agli ecosistemi, per le funzioni e servizi che danno agli esseri umani. Nella ricerca scientifica e nelle politiche internazionali per il clima si parla appunto di phase-out dai combustibili fossili. Accanto all’uscita dai combustibili fossili è necessario ”praticare”, in modo capillare, sistemi di energie rinnovabili sostenibili sul territorio e mettere in campo strategia di adattamento ai cambiamenti climatici».
Le ondate di calore che stanno interessando l’Europa cosa indicano?
«Le ondate di calore non sono altro che il ”volto quotidiano” della crisi climatica in corso. La copiosa ricerca scientifica ed i rapporti dell’IPCC ce lo raccontano e documentano da oltre un decennio: tra gli impatti del cambiamento climatico dobbiamo fare i conti con l’aumento della frequenza di eventi meteorologici estremi come le famigerate ondate di calore, di cui abbiamo assaporato la prima del 2022 a Padova nel mese di maggio, con temperature massime vicine ai 30 °C per diversi giorni consecutivi. E non è stata un’eccezione: le ondate di calore si sono succedute a Padova, come in diverse aree geografiche di tutta Europa, nel mese di giugno e luglio, con anomalie termiche di 6-8 °C sopra la media del periodo di riferimento. Si ricorderanno del luglio 2022 i cittadini inglesi che, per la prima volta, hanno testato sul loro corpo temperature di 40 °C. Anche Francia, Spagna e Germania hanno sperimentato pesanti e lunghe ondate di calore, dove i termometri hanno battuto temperature mai registrate prima. A Padova abbiamo avuto a che fare con una lunga serie di “notti tropicali” (tropical nights), ossia una temperatura minima superiore ai 20 °C. La nostra stazione meteo (nodo della rete nazionale di “scienza civica” Meteonetwork) installata sopra i tetti del Dipartimento ICEA, ha registrato 24 notti su 30 a giugno e 30 giorni su 31 a luglio con temperature minime ben sopra i 20 °C. Secondo uno studio pubblicato a luglio sulla celebre rivista Nature ci sono evidenze che l’Europa sia un hotspot ”speciale” per le ondate di calore, con un aumento di frequenza del fenomeno, negli ultimi 42 anni, sino a 3-4 volte maggiore rispetto ad altre aree geografiche.
Ma il problema di tali estremi climatici non è solamente il “caldo anomalo” e insopportabile, ma gli impatti sugli ecosistemi e sulle società, a medio e lungo periodo. Secondo un recente studio, nell’anno 2019, 350.000 mortalità sono state associate ad “estremi climatici”. In numerose città del Nord America sono stati rilevati, durante le ondate di calore, aumenti significativi nel numero negli accessi al pronto soccorso degli ospedali, principalmente soggetti vulnerabili. Infatti gli impatti delle ondate di calore non sono tuttavia “equamente distribuite” sul territorio e nella società, ma ricadono principalmente su soggetti vulnerabili come anziani, ma anche altri soggetti deboli come famiglie a basso reddito, i “senza casa” o i “sans-papier”. Come Centro di Eccellenza Jean Monnet sulla giustizia climatica (Dipartimento ICEA, Università di Padova) ci stiamo occupando di indagare come gli effetti dei cambiamenti climatici, ma anche l’attuazione di strategie di adattamento, possano amplificare notevolmente le ineguaglianze e le contraddizioni sociali che la nostra società già conosce».
In una città come Padova quali strategie è necessario attuare per affrontare il cambiamento climatico?
«Parafrasando il prof. Petteri Taalas, Segretario Generale dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), gli “estremi climatici” sono oggi la nuova normalità. E le ondate di calore di quest’anno nei nostri territori, accompagnate da una tremenda e prolungata siccità, dovrebbero essere un campanello di allarme per intervenire sul territorio con misure di mitigazione e strategie di adattamento ai cambiamenti climatici. Soprattutto in un territorio urbano fortemente colpito dal consumo di suolo, come il Comune di Padova, ove l’impermeabilizzazione delle superfici con cemento e asfalto amplifica notevolmente l’effetto delle isole di calore. Ricordiamo che Padova, secondo il Rapporto ISPRA uscito recentemente, è al quinto posto a livello nazionale come città “più consumata”, ove circa il 50% del territorio è completamente impermeabile.
Sicuramente non saranno i condizionatori a salvarci dalle ondate di calore, anzi. Sono delle “macchine termiche” che per raffreddare gli ambienti interni devono riscaldare l’esterno, creando quindi una cosiddetta “retroazione positiva” ed aumentando la temperatura delle città. Oltretutto per raffreddarci le case con i condizionatori serve energia elettrica, che in buona parte viene dai combustibili fossili. Bisogna invece piuttosto pensare alle cosiddette “soluzioni Nature-based”, ossia basate su conservare ed implementare gli ecosistemi per sfruttarne i servizi “naturali”. Un “bosco urbano” o un parco ben vegetato da formazioni arboree “efficienti” può diventare un condizionatore naturale di quartiere, abbassando in maniera significativa, tramite i processi di evapotraspirazione, la temperatura. Secondo uno studio di O’Malley del 2015 i parchi urbani possono riuscire ad abbassare la temperatura da 5 a 12 °C rispetto l’ambiente circostante. Ecco quindi che il ruolo del verde urbano, la sua “qualità” in termini di specie vegetali presenti, la sua distribuzione in città, la connettività e la sua accessibilità diventano elementi cruciali per mitigare le ondate di calore e ridurne gli impatti sulla cittadinanza. Si sente spesso parlare di aree verdi, tralasciando tuttavia il ruolo nella regolazione del microclima urbano svolto dal reticolo idrografico minore, come il sistema di canali e acque che attraversa Padova.
Nel nostro Comune, territorio di circa 90 chilometri quadrati di superficie, abbiamo mappato con immagini aeree di dettaglio circa 10 chilometri quadrati di verde pubblico. Credo sia importante guardare alla città come ad un ecosistema urbano complesso e sensibile, dove le poche aree verdi vadano fortemente implementate e distribuite sul territorio, per diventare ecosistemi funzionali e resilienti al cambiamento climatico, in sinergia con il sistema di acque superficiali della città».
Donatella Gasperi, responsabile Ecopolis