Dopo alcune esperienze a livello regionale, il progetto della Banca della terra è diventato un’azione su scala nazionale.
Lo ha ha annunciato il ministro Maurizio Martina lo scorso marzo al convegno di presentazione della Banca delle Terre Agricole, nuovo nome assegnato all’iniziativa estesa in tutta l’Italia e gestita dall’Istituto dei Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA).
Si tratta di un catasto on-line che funziona attraverso bandi per imprenditori agricoli in cui si mettono a disposizione dei privati terreni e fabbricarti rurali, rendendo produttivo ciò che non lo era più. Si tratta in molti casi di terreni demaniali o appartenenti a Enti e Fondazioni che non riescono a gestirli con le proprie risorse. A questi si sono aggiunti terreni dei privati che per qualche motivo non riescono a tenerli produttivi e li lasciano in stato di incuria o abbandono.
Il recupero di questi terreni gioca un ruolo fondamentale contro il degrado ambientale, per l’equilibrio idrogeologico, per limitare gli incendi boschivi e favorire l’ottimale assetto del territorio. La Banca della Terra, una volta acquisita la disponibilità, li assegna in gestione a chi è in grado di recuperarli, coniugando esigenze imprenditoriali e salvaguardia del territorio.
Chiunque può ottenere l’assegnazione dei terreni, ma la priorità viene data ai giovani agricoltori, anche attraverso misure ad hoc, come il canone e i contributi fiscali e previdenziali agevolati nei primi tre anni, per consentire una maggiore tranquillità nella fase iniziale del progetto.
La prima Banca della Terra europea è nata in Toscana in seguito all’incontro del 2010 tra l’allora assessore all’agricoltura della Toscana Gianni Salvadori giovani Universitari di Agraria di Firenze. Risultò che molti di loro non si sarebbero dedicati all’agricoltura poiché non avevano la terra, a fronte di una situazione di abbandono di terreni demaniali o appartenenti a Enti o Fondazioni. La banca toscana non ha fatto altro che mettere in contatto domanda e offerta permettendo di salvaguardare il territorio e al contempo di sviluppare l’imprenditoria agricola.
Dopo l’esperimento toscano, tra il 2014 e il 2017 altre tre regioni italiane hanno imitato il progetto: Lombardia, Sicilia e Liguria, cui si è aggiunta la Provincia autonoma del Trentino. La Banca della Terra lombarda, rispetto al progetto toscano, è ancora più restrittiva nel definire i terreni incolti, per i quali bastano due anni di non lavorazione agraria per essere definiti tali. Tutte le informazioni e le modalità di accesso si trovano nel sito del Comune di Milano.
Le informazioni della Banca della Terra siciliana si trovano invece nel sito di Siciliagricoltura. La Liguria, come afferma il sito del Comune di Genova, ha pensato invece più alla sicurezza di un territorio fragile dal punto di vista idrogeologico, finalizzando l’iniziativa della Banca Regionale della Terra al principio di responsabilità territoriale, che impone a quanti hanno la disponibilità di terreni agricoli e forestali una verifica periodica dello stato di conservazione.
La sicurezza del territorio montano è principio cardine anche della Banca della Terra in Trentino. Qui i Comuni saranno coadiuvati dalle Comunità di valle nel censimento di terreni abbandonati e delle aree forestali da riportare all’uso agricolo.
Per quanto riguarda il Veneto, a oggi solo tre terreni ai margini della provincia meridionale di Rovigo sono messi a disposizione, secondo il catasto ISMEA. La regione Veneto ha istituito nel 2014 la Banca della Terra veneta, ma le delibere attuative sono arrivate solo a gennaio di quest’anno.
Annachiara Capuzzo – redazione di ecopolis