A neanche un anno dalla firma di 195 paesi di tutto il mondo entra in vigore l’accordo di Parigi per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
Erano infatti necessarie le approvazioni di almeno cinquantacinque paesi produttori di almeno il 55% delle emissioni globali di CO2. L’ultimo trattato climatico significativo, il famoso “protocollo di Kyoto”, a cui peraltro non aderivano i paesi “in via di sviluppo”, richiese per la ratifica più di sette anni.
L’accelerazione è avvenuta negli ultimi cinquanta giorni: dopo l’inaspettata adesione già a settembre dei due maggiori responsabili dell’inquinamento globale, Stati Uniti (che ne sono però usciti nel 2017 per volere del presidente Trump, ndr) e Cina, agli altri cinquantanove paesi già aderenti si è aggiunta nei giorni scorsi anche l’India, ratificando il trattato il giorno della nascita del Mahatma Gandhi. Grazie all’Unione Europea, che emette il 12% dei gas serra, si passa quindi da quasi 52% al 64% delle emissioni, superando di molto la soglia richiesta.
Due settimane dopo l’entrata in vigore anche l’Italia, finalmente, comincia il percorso della ratifica dell’accordo di Parigi: la camera approva all’unanimità (con l’astensione della Lega Nord) l’accordo e delibera la partecipazione, nei prossimi due anni, ai meccanismi finanziari in favore dei paesi più esposti al cambiamento climatico.
Il testo ratificato della COP21 prevede la limitazione dell’aumento della temperatura globale “ben al di sotto dei 2 gradi centigradi”, riducendo le emissioni a partire dal 2020: la soglia mira a evitare alterazioni irreversibili al sistema ambientale. A partire dal 2018, data in cui si chiede già agli stati aderenti di cominciare a limitare l’inquinamento, ci sarà un controllo di questo obiettivo ogni cinque anni. È prevista anche l’investimento di capitali che dal 2020 i paesi sviluppati utilizzeranno per diffondere la conversione ecologica dell’economia nei paesi del Terzo mondo. Infine, si dà il via, come visto per l’Italia, al meccanismo dei rimborsi finanziari per i paesi più sottoposti ai mutamenti climatici.
La scelta dell’Unione europea e degli altri paesi non è dettata solo dal peggioramento delle condizioni climatiche. Nella conversione ecologica dell’economia si gioca, come scrive Mauro Albrizio con chiarezza su “La nuova ecologia”, l’apertura di mercati futuri. Tanto la Cina e gli Stati Uniti quanto i mercati emergenti come il Medio Oriente e l’Africa sono in concorrenza con l’Europa per attrarre gli investimenti finalizzati alla trasformazione verde dell’economia: si tratta di capitali in aumento da alcuni anni a livello globale e destinati dunque a crescere. Il vecchio continente ha però registrato una riduzione degli investimenti di quasi il 20% negli ultimi due anni, una minore attenzione che ha prodotto inevitabilmente una notevole diminuzione dell’occupazione nel settore delle rinnovabili.
A breve, dal 7 al 18 novembre, si terrà a Marrakech, in Marocco, la prossima conferenza sui cambiamenti climatici (COP22), in cui si continueranno a discutere i temi trattati a Parigi l’anno prima: dalle tecniche più efficaci per limitare i cambiamenti climatici, alla transizione a un’economia senza CO2, fino agli strumenti per affrontare le conseguenze dei mutamenti del clima.
Purtroppo, difficilmente l’Italia si siederà al tavolo della discussione con il trattato definitivamente ratificato, vedendo così diminuita la sua capacità di influenzare la conferenza in vista della lunga e necessaria riduzione delle emissioni.
Luca Cirese, redazione ecopolis
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