Anche l’Italia ha bisogno di un “Istituto di Ricerca sulla Pace ed il Disarmo”

immagine UN'ALTRA DIFESAUn Direttore responsabile, un Comitato Scientifico che stabilisca gli indirizzi dell’attività di ricerca, un Consiglio Direttivo che definisca e attui i progetti di ricerca: sono tutti possibili organismi prevedibili per il funzionamento dell'”Istituto di Ricerca sulla Pace e il Disarmo“.

Questo Istituto è previsto nella Proposta di Legge di iniziativa popolare: “ISTITUZIONE E MODALITÀ DI FINANZIAMENTO DEL DIPARTIMENTO DELLA DIFESA CIVILE NON ARMATA E NONVIOLENTA”, per la quale stiamo raccogliendo le firme necessarie.

L’Istituto, la “mente” del Dipartimento, si avvarrà anche dei Corpi Civili di Pace, il “braccio” del Dipartimento, per svolgere i suoi specifici compiti:

  1. difendere la Costituzione, affermando i diritti civili e sociali in essa enunciati, la Repubblica e l’indipendenza e la libertà delle istituzioni democratiche del Paese;
  2. predisporre piani per la difesa civile non armata e nonviolenta, coordinarne la loro attuazione, e curare ricerche e sperimentazioni, nonché forme di attuazione della difesa civile non armata, ivi compresa la necessaria formazione e l’educazione della popolazione;
  3. svolgere attività di ricerca per la pace, il disarmo, per la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa e la giusta e duratura risoluzione dei conflitti, e predisporre studi finalizzati alla graduale sostituzione della difesa armata con quella civile nonviolenta, provvedere alla formazione del personale appartenente alle sue strutture;
  4. favorire la prevenzione dei conflitti armati, la riconciliazione, la mediazione, la promozione dei diritti umani, la solidarietà internazionale, l’educazione alla pace nel mondo, il dialogo inter-religioso ed in particolare nelle aree a rischio di conflitto, in conflitto o post-conflitto;
  5. organizzare e dirigere le strutture della Difesa civile non armata e nonviolenta e pianificare e coordinare l’impiego dei mezzi e del personale ad essa assegnati;
  6. contrastare le situazioni di degrado sociale, culturale ed ambientale e difendere l’integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni cagionati dalle calamità naturali.

Già dal 1999, dopo la pubblicazione del libro “Gli Istituti e i Centri di Ricerca Internazionali della Pace” a cura del MIR ( Movimento Internazionale della Riconciliazione) e dei Beati i Costruttori di Pace, da Padova partì una Campagna e una raccolta firme promossa dai maggiori movimenti pacifisti italiani per la creazione anche in Italia di un “Istituto Internazionale di ricerca per la Pace e la risoluzione dei conflitti“.

Così come il PRIO di Oslo, il SIPRI di Stoccolma,il Berghof di Berlino, solo per citare i più famosi fra i tanti Istituti di ricerca sulla Pace presenti all’estero che tanto hanno contribuito con le loro ricerche, pubblicazioni e piani di azione alla individuazione e trasformazione nonviolenta dei conflitti intra e interstatali, anche in Italia si avvertiva la necessità di uno specifico Istituto.

Molte personalità della cultura e della società civile, e tanti Enti Locali firmarono lo specifico Appello. Vennero presentate sette Proposte di Legge , da diversi Deputati e Senatori di tre legislature successive, ma non si arrivò mai ad inserirle nei calendari delle Commissioni né tanto meno delle Aule Parlamentari.

(Per documentazione http://www.decennio.org/docs/appello.htm)

Confidiamo, dopo 15 anni, nella presentazione e nell’approvazione di questa Proposta di Legge, per la quale raccogliamo le firme necessarie tutti i sabati dalle 10 alle 13 in Piazza delle Erbe a Padova.

 Claudio Carrara – Comitato Padovano

per la raccolta firme “Un’altra difesa è possibile”

5 thoughts on “Anche l’Italia ha bisogno di un “Istituto di Ricerca sulla Pace ed il Disarmo”

  1. Dubito molto che davanti ai miliziani dell’ISIS, ora in Libia, una difesa non violenta funzioni.
    Non potreste per favore darcene una prova di funzionalità in Siria-Irak, in Libia, , in Nigeria, in Somalia, in Yemen, in Pakistan, in Mali….. ?
    grazie

  2. Anche io dubito chela nonviolenza funzioni nei casi che lei cita, anche se non c’è stato nemmeno un tentativo di metterla in atto in quei contesti e quindi è difficile dire che non può funzionare in maniera aprioristica. La nonviolenza ha dei limiti come del resto lo ha la violenza. Ma è ricorrente l’accusa che la nonviolenza non funziona e non potrà mai essere efficace. Si dimenticano così i casi in cui la nonviolenza ha funzionato: dagli Stati Uniti di M. L. King all’India di Gandhi, passando per vari episodi di successo come Filippine, Germania, Danimarca, ecc.
    Vorrei a questo proposito segnalare questo link
    http://serenoregis.org/2009/11/12/1989-ventanni-dopo-nanni-salio/
    che rimanda ad uno studio sul ruolo avuto dalla nonviolenza nella caduta del regime sovietico.

  3. Sudan, Turchia, Qatar, danno armi e appoggioall’ISIS, altre nazioni lo fanno e anche noi l’abbiamo fatto direttamente con altre fazioni in lotta o le abbiamo provocate direttamente. Non è certo una politica di pace e di mediazione che sta trionfando lì. Lei ha ragione le armi la fanno da padrone. In altri posti e situazioni i conflitti sono stati trasformati lentamente con pazienza dalla diplomazia, dagli incontri , da tanti strumenti di forza nonviolenti, che credo possano e debbono essere sempre più finanziati, preparati e utilizzati in maniera costante e professionale.
    E’ quello che la Proposta di Legge, propone.
    Grazie del contributo, Claudio Carrara

  4. Nei casi in cui la non-violenza ha vinto lei trascura il fatto che i non-violenti avevano dalla loro altri fattori decisivi.
    Ghandi aveva 400 mln di indiani, a fronte di 150.000 inglesi.
    L’URSS è crollata perchè non aveva un sistema produttivo ed economico, che le permettesse di continuare a competere con l’Occidente. (Non fa molta strada un paese nel quale la stanza della fotocopiatrice viene chiusa a chiave, per timore che notizie interne possano essere copiate e trafugate al di fuori del controllo del dirigente. figuriamoci quando in USA si diffusero i primi PC…)
    Se lei intravede un fattore non violento che possa modificare il comportamento dei miliziani ISIS, ce lo faccia sapere. Le confesso che io non lo vedo !

  5. Non trascuro affatto la circostanza che Gandhi aveva dalla sua 400 milioni di indiani. E’ stata al contrario la sua abilità che ha fatto diventare il numero un “fattore decisivo”. Perché l’India ha scelto la via nonviolenta per cacciare gli Inglesi ed arrivare alla decolonizzazione? E perché ad esempio l’Algeria invece no? Eppure anche gli algerini erano più numerosi dei Pieds Noirs.
    Quando si entra in un conflitto -giocato con la guerra oppure giocato con la nonviolenza- i “fattori decisivi” sono appunto quelli che fanno vincere o perdere e sono molti. Perché la Germania Nazista e il Giappone che hanno scatenato la seconda guerra mondiale hanno perso? Non hanno saputo capitalizzare il loro vantaggio iniziale. Perché i “fattori decisivi” che Gandhi ha saputo capitalizzare dovrebbero sminuire l’efficacia dell’azione nonviolenta, mentre questo non succede per i conflitti armati: gli USA hanno saputo capitalizzare il vantaggio di avere la bomba atomica (oltre ad altri fattori decisivi)! E anche loro hanno vinto. L’azione nonviolenta ha possibilità e limiti, che del resto ha anche la violenza tanto è vero che in guerra uno vince, ma l’altro perde. Quanto all’Isis ripeto che anche io vedo molto difficile un intervento nonviolento, ma mi pare che non sia nemmeno stato tentato: troppi governi stanno giocando con l’Isis che a qualche stato fa comodo (la Turchia) perché indebolisce i vicini (Siria e Iraq) nonché i Curdi.

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