Le parole pesano: Luca Claudio condannato per diffamazione

È almeno dal 2012 che il braccio di ferro fra Comune di Abano e ambientalisti, comitati e cittadini tiene viva l’attenzione sul taglio di 160 alberi del territorio cittadino. Da molti quest’operazione, giustificata come “manutenzione straordinaria, riqualificazione e rinnovo del patrimonio arboreo e dell’arredo urbano”, è considerata uno scempio, sia per il valore degli alberi abbattuti, sia per la posizione di questi ultimi, spesso siti nelle principali vie cittadine. Moltissime sono state le attività delle associazioni, come per esempio “Salviamo gli alberi” o il Gruppo di Intervento Giuridico Onlus, per sensibilizzare la popolazione e tentare di contrastare questa decisione. Ora la vicenda si arricchisce di nuovi risvolti che vedono coinvolto il Primo cittadino Luca Claudio e la Dott.ssa Marina Lecis, presidente della già citata associazione Salviamo gli alberi.

Il tutto nasce da uno sfogo del Sindaco di Abano in un comunicato stampa pubblicato sul sito del Comune a firma del primo cittadino.

«… Mi chiedo come fa l’ordine dei professionisti forestali ad avere al suo interno una presunta esperta forestale, accreditata come tale anche presso il Tribunale, se questi sono i risultati delle sue sparate che sembrano provenire da una mente contorta e disordinata piuttosto che da un professionista serio e competente»: queste le parole che il legale della Lecis, l’Avvocato Giorgio Destro, ha impugnato per portare avanti una causa per diffamazione nei confronti del Sindaco. Stupisce (purtroppo sempre meno) l’incapacità di un Primo Cittadino di saper dosare le proprie parole ed essere d’esempio per tutti i cittadini da lui amministrati anche, e soprattutto, nel momento delle critiche e nel rapporto con chi esterna un’opinione diversa dalla propria. Secondo il giudice civile Gianluca Bordon, che ha condannato Luca Claudio ad un risarcimento nei confronti della Lecis di 10 mila euro, “la dichiarazione costituisce esclusivamente una gratuita offesa alla persona […] aggredendo sul piano personale e professionale la sua avversaria”. Sempre secondo il giudice il limite della continenza verbale sarebbe stato evidentemente superato, definendo la Lecis “una mente contorta e disordinata non degna di appartenere ad un ordine professionale”. Ora, ovviamente, il Sindaco dichiara battaglia ricorrendo al ricorso, ritenendo la sentenza “folcloristica”.

Al di la di come andrà a finire la vicenda in aula, sarebbe comunque opportuno che tutti noi, politici compresi, iniziassimo ad interrogarci sulla forza e sulla pesantezza delle nostre parole: forse condizionati dalla “fugacità” che queste assumono all’interno degli attuali mezzi di comunicazione (social network come facebook, twitter etc) ci sentiamo legittimati ad esternare ogni pensiero (se di “pensiero” si tratta) nelle maniere più bieche e basse. Non è così. Quello che diciamo ha un peso, ha un peso l’offesa alla dignità personale e professionale di una persona. Soprattutto se sono parole espresse da cariche istituzionali, che dovrebbero essere le prime a dare un esempio in quanto rappresentanti di una comunità di persone. Un aggressione verbale non costituisce un dialogo, e quindi non si configura mai come un apporto positivo per la soluzione di un problema.

Il nostro augurio è che, indipendentemente dalle vicende giudiziarie, si sia in grado di instaurare un dialogo civile fra le parti interessate nella vicenda di Abano, dando modo a tutti di condividere le proprie idee per quanto diverse esse possano essere.