Fermiamo questa fusione

553649756_26ebe37291_bFusione sì, ma non così. Mancano i presupposti per fare bene la fusione fra APS e Sita/Busitalia. Per questo chiediamo al Consiglio comunale di non approvarla, rinviandola ai prossimi mesi.

E non siamo i soli.

I tavoli con CGIL CSIL e UIL non sono approdati a nulla e l’RSU dei lavoratori ha siglato una ipotesi di accordo che viene subordinato ad “un urgente chiarimento complessivo con l’Amministrazione Comunale e le Società su risorse, strumenti di controllo pubblico, politiche tariffarie.”

Ma cosa serve cambiare?

Prima di tutto la distribuzione delle quote. Oggi nella nuova società la parte del Comune scende al 44% di quote di partecipazione. Perché APS è stata sottostimata, senza considerare tutto quello che negli ultimi 10 anni si è investito (tram, officine, qualificazione del personale, autobus a metano, numero di passeggeri trasportati, numero di lavoratori impiegati, sede). Di fatto si conferisce la bad company.

Perché questa sottostima? Perché c’è un deficit di bilancio nel 2012.

Sarebbe interessante capire da cosa è causato, visto che l’obiettivo di maggiore efficacia che la fusione si prefigge, si raggiunge conoscendo le diseconomie. Ma sulle cause della perdita non si trova traccia nei documenti preparatori sulla fusione.

In realtà la causa è conosciuta da tutti ed è banale: nel bilancio di sostenibilità 2012 pubblicato da APS Holding, a pagina 42 e 43 si legge: “come si può osservare, il 100% della perdita di esercizio della società può essere ascritta allo sbilancio di esercizio della linea tramviaria (- 2.312.000 euro)”: perchè il tram ha un costo chilometrico di 11,56 euro  e la Regione Veneto riconosce un contributo al chilometro ridicolmente basso: 4 euro, mentre le altre Regioni con tram (Piemonte, Lombardia, Lazio) pagano 7 euro. Basterebbe questo adeguamento che il bilancio APS tornerebbe in pareggio.

Invece la politica si disinteressa di tutto ciò e l’APS, con la pistola alla tempia, va ad una fusione in posizione di debolezza. E con lei il Comune, cioè la collettività.

Lo diciamo con forza: la scelta del tram è stata giusta, mezzo moderno ed ecologico, innovativo. Tutti si sono schierati a favore: che fossero le amministrazioni locali e regionali, insieme al Governo e alle associazioni dei consumatori, ambientaliste e di categoria; allora com’è che adesso le esternalità negative economiche di tale scelta debbono essere imputate alla sola APS H, soprattutto in questa fase di fusione societaria?

La rabbia aumenta se consideriamo che APS è virtuosa rispetto a quanto prescritto dalla legge di stabilità 2013, che chiede “l’incremento nel rapporto tra ricavo dei biglietti e costi”. Ancora nel 2013 la capacità di copertura dei costi tramite la vendita dei biglietti in APS è del 42%, ben al di sopra del limite di legge fissato al 35% e della media nazionale, ferma al 30%. Quello che è sempre mancato, è stato un adeguato contributo regionale.

Quindi è questo l’elemento da cui partire, prima di impostare un piano di fusione, che in queste condizioni non potrà che essere di ridimensionamento del servizio.

Il Comune per prima cosa deve ricontrattare con la Regione i loro impegni di spesa, tra i più bassi d’Italia, soprattutto quelli legati al tram, in alleanza con Venezia.

Invece la cosa viene ignorata e si conduce una operazione spericolata, basata su un apriori che si legge in un passaggio inquietante (cfr. relazione “allegato 2 Sintesi operazione fusione”), che riportiamo: “gli obiettivi (di bilancio ed esercizio) della nuova società sono raggiunti (…) a condizione che la Regione mantenga la stessa contribuzione che adesso riconosce alle due aziende separatamente pur a fronte della razionalizzazione del servizio (cioè in termini di spesa per la Regione l’onere non cambia)”.

Cioè tutto il piano di efficienza non fa che reggersi su una ipotesi più che su accordi. Ciò che non si pretende per il tram (veicolo ad alto valore aggiunto), si “recupera” grazie al gioco delle tre carte.

Un bel azzardo, aggravato dalla mancanza di piano B (“e se la Regione adegua i suoi contributi ai km effettivamente effettuati?”).

Serietà vorrebbe invece che in Consiglio Comunale si discutesse ed approvasse un piano industriale prudente ma chiaro sulle risorse aggiuntive. E’ quello che chiedono anche i lavoratori.

E le scelte non potrebbero che essere due: una basata su un ulteriore taglio del servizio e contenimento del costo del lavoro. L’altra frutto di immissioni di nuove risorse che non possono che derivare da tre entrate: conferimento della gestione della sosta e dei relativi introiti (circa 3 milioni) alla società della mobilità (mentre da un anno il Comune ha scorporato il ramo e i ricavi li ha introiettati nel bilancio generale); politiche innovative come il Congestion Charge di Milano che frutterebbe circa 4-5 milioni di risorse all’azienda; aumento della velocità commerciale.

Quest’ultima, è bene che si sappia, non è solo qualità del servizio. E’ anche un dato economico: “l’aumento di 1/kmh corrisponde a un risparmio di 2,1 milioni di costi (pari al 4,5% dei costi del TPL padovano)”. In tutti questi anni la velocità commerciale a Padova città non è aumentata, ferma al 14 km/h. Perché il Comune non ha realizzato alcuna nuova corsia riservata che è l’unica strategia capace di ottenere effetti positivi. Pur essendo il socio di maggioranza al 98,8% dell’azienda che gestisce il TPL.

In un futuro post fusione, nel quale il rapporto con l’azienda sarà più lontano (al 44% delle quote), perché mai il Comune dovrebbe fare scelte da sempre rinviate, sicuramente complesse da gestire, ma vincenti, come quella di contenere il traffico privato a favore di quello collettivo, realizzando varie decine di km di corsie preferenziali?

Più nel dettaglio, leggendo le azioni strategiche del piano di fusione, spicca un dato: non c’è tra gli obiettivi quello di acquisire nuovi utenti, semmai ci si impegna a mantenere gli attuali (che per altro sono in calo da due anni).

Parallelamente, ad eccezione dell’integrazione tariffaria, non c’è un impegno sul miglioramento della qualità del servizio: ad esempio aumentare i passaggi (cioè abbassare la frequenza di alcune linee rendendole forti) ponendosi l’obiettivo dei 8-10’ nella punta e dei 12-15’ nella morbida (per quali e quante linee).

Veniamo alla razionalizzazione delle linee, argomento forte dei sostenitori dell’intervento immediato.

Con la fusione in ambito urbano ci sarà un contenimento di 1,4 ml di km nel 2014 vs 2013 (-5,5%), pari ad un – 1,9 ml di km nel 2014 vs 2012. E’ il risultato composto da un risparmio di – 0,8 ml di km grazie all’eliminazione di sovrapposizioni, visione parecchio ottimista rispetto agli studi della KPMG che anni fa individuavano un range di risparmio compreso fra i 400-700 mila km.

Inoltre è sbrigativa l’ipotesi di ottenerli con l’alleggerimento dell’asse Nord/sud, già ipotizzato nel PUM 2001 e mai realizzato perché le circonvallazioni richiedono più km di percorrenza.

Ci pare superficiale il – 0,2 ml di km per tagli nella morbida (cioè tagli). Su questo dato servirebbe un approfondimento. Abbiamo due serie storiche nel 2006 e 2007 quando, grazie ad un contributo straordinario derivante dalle multe, furono inseriti 100 nuove corse nella morbida (abbassamento di frequenze) che fece acquisire circa 500,000 nuovi utenti anno, in una fascia oraria considerata non produttiva. Esperimento che dimostrò che l’offerta ingenera domanda, anche nel tpl.

Infine ci sarà un + 0,2 ml di km di potenziamento (positiva estensione del servizio in fasce suburbane con caratteristiche da urbano).

Integrazione tariffaria/biglietto unico sarà realizzata (finalmente). Ma si mettono le mani avanti: a fronte di minori ricavi si indica come necessari compensazioni tramite l’adeguamento tariffario (cioè aumenti del costo dei biglietti oltre l’adeguamento inflazionistico) o tramite contributi comunali. Non si fa riferimento alla capacità di assorbire la diminuzione degli utili grazie alla riduzione di altri costi. Che a quanto pare non ci sono.

Andrea Nicolello-Rossi, Legambiente Padova

One thought on “Fermiamo questa fusione

  1. IPOTESI DI ACCORDO di martedì 18 marzo – Nota a verbale:
    La RSU di APS chiede e subordina la presente ipotesi di accordo a un urgente chiarimento complessivo con l’Amministrazione Comunale e le Società in merito:
    • alle risorse economiche complessive destinate d’ora in avanti al servizio del TPL urbano ed extraurbano suddivise per tipologia di provenienza (es. fondo nazionale, Comune di Padova e Comuni di prima cintura, Provincia, titoli di viaggio, sosta etc.) e destinazione (es. servizio, investimenti materiale rotabile, investimenti infrastruttura etc.).
    • agli strumenti di controllo pubblico sul TPL da parte dell’Amministrazione Comunale sia in qualità di Componente dell’Autorità di Governo del bacino di Padova, sia in qualità di socio di minoranza di Busitalia Veneto.
    • agli interventi di politica tariffaria, di pianificazione e qualità del servizio, con relativi indici di load factor (fattori di carico autobus), che il Comune di Padova intende favorire.

    La RSU di APS inoltre, prendendo atto della previsione del piano industriale di Busitalia Veneto relativa al mantenimento delle risorse economiche da parte della Regione Veneto a fronte della eliminazione delle sovrapposizioni di rete tra APS e Busitalia, specifica di non condividere politiche di riduzione del servizio e richiedono al Comune un incremento delle risorse economiche a favore del servizio di TPL del bacino di Padova così da poter sviluppare nuovi servizi di area urbana e, conseguentemente, favorire maggiori garanzie occupazionali.
    La RSU di APS infine chiede particolare attenzione alla prima fase di istituzione del biglietto unico così da non sfavorire le fasce deboli della popolazione.

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