Per un mondo senza gendarmi

La presente giornata di studio punta ad essere un momento di riflessione per confrontarsi sul percorso che realtà istituzionali e società civile devono compiere, con particolare riferimento alla cornice europea, per mettere a punto strategie che escludano sempre più il ricorso alle armi.

L’ultimo decennio del secolo scorso ha segnato la conclusione di un sistema internazionale bipolare, un sistema – quello della “guerra fredda” – che innegabilmente aveva dato vita ad un “ordine globale”. A scanso di qualsiasi interpretazione nostalgica, va osservato che quell’ ”ordine” ha compreso centinaia di conflitti armati – spesso promossi o svolti per procura dalle due superpotenze – con milioni di vittime. Dopo il crollo del muro di Berlino la crescente volontà di protagonismo di altre realtà statuali ha fatto sì che il sistema delineatosi fosse sempre meno unipolare. Ciò non significa che si è andato affermando un sistema internazionale più giusto e pacifico. Diversi sono stati i fattori all’origine di crisi e conflitti: nazionalismi che hanno brandito l’idea della sovranità per tentare di ridefinire confini statuali, blocchi politico-militari che sotto le mentite spoglie dell’ ”ingerenza umanitaria” o della “lotta al terrorismo” nascondevano piani per accrescere le proprie zone di influenza geo-strategica. Insomma il mondo stenta a darsi una gestione democratica e multilaterale della sicurezza come bene comune.

Ciò premesso due strategie/modalità di azione appaiono importanti in una progettualità di pace. La prima, che può apparire ovvia ma va sempre ribadita, consiste nel preferire un approccio multilaterale nelle promozione e gestione della sicurezza a livello internazionale in quanto l’affidamento della “gestione delle crisi” a singoli stati o a gruppi di essi si è dimostrata assai più rischiosa per l’evidente possibilità di prevalere di interesse di parte. La seconda sta nel non cadere nell’errore che la costruzione di ordini di pace possa essere realizzata solo dalle élite o a contrario solo da chi non fa parte delle élite, ma usare entrambe le vie (Johan Galtung). Riguardo a quest’ultimo aspetto va registrato come in questi ultimi anni a livello istituzionale si sia assistito a una sorta di riflusso, ripiegamento di quella carica ideale che nei decenni passati aveva spinto a formulare percorsi e progetti volti a sviluppare forme di prevenzione e gestione costruttiva dei conflitti a livello nazionale e internazionale. Ciò è solo parzialmente avvenuto per la società civile mondiale, spesso ancora capace di spendersi per contribuire a dare sbocchi pacifici a situazioni di crisi. A titolo di esempio citiamo l’importante ruolo che hanno avuto studiosi e organizzazioni internazionali nonviolente negli esiti della cosiddetta “primavera araba”.

M.I.R. – Movimento Internazionale di Riconciliazione di Padova